Quante volte ci lamentiamo del nostro cane? Quante volte, scocciati e perfino arrabbiati, lo sgridiamo dicendo (o gridando): “Non capisci che non devi tirare al guinzaglio???” oppure “Non mi ubbidisci mai!” e ancora “Fermo, non saltare addosso!” e di nuovo “È inutile…tanto fai sempre e soltanto di testa tua!”.
Invece, quante volte cerchiamo di capire il nostro cane? Quante volte proviamo a “metterci nei suoi panni” e tentare di sentire il mondo come lo percepisce lui? Non si tratta di affinare le nostre capacità sensoriali (ovviamente incomparabili a quelle dei nostri amici a quattro zampe) bensì di sviluppare o accrescere quella sensibilità interiore in grado di abbattere le barriere delle differenze interspecifiche e di accomunare esseri viventi filogeneticamente molto distanti ma con millenni di convivenza alle spalle: l’uomo ed il cane.
Perché, allora, non smettiamo di pensare di avere un cane da correggere o da “aggiustare” (alla stregua di un elettrodomestico difettoso o guasto) e, prima di tutto, non mettiamo noi stessi in gioco? Chiediamoci, quindi: “ Rispettiamo davvero il nostro cane?”, “ Riusciamo a comunicare con lui nella maniera opportuna?”, “Siamo in grado di leggere e di non fraintendere i suoi segnali comportamentali?”, “Aiutiamo il nostro amico ad affrontare le difficoltà e le paure che incontra nel contesto sociale nel quale, volenti o nolenti, lo costringiamo a vivere?”.
In fin dei conti, si tratta “solo” di cambiare punto di vista abbandonando con coraggio il piedistallo dell’antropocentrismo il quale, in cambio di false sicurezze, ci rende, in realtà, più piccoli, più limitati ed incapaci di aprire la mente ed il cuore alle smisurate possibilità di conoscere ed amare le creature che ci circondano. E…chissà? Magari, capovolgendo la nostra prospettiva, questa sera saremo noi a tornare a casa dal nostro cane con…la coda tra le gambe!c qui per effettuare modifiche.
H.P.