Pet Therapy in I.A.A. – Smiley; quando l’amore è cieco.

Pet Therapy

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Introduzione

Questa tesi nasce dal coronamento di un’arricchente e positiva esperienza del corso per operatore pet therapy che ho svolto in questo anno, nata da una scommessa con me stessa, ma che mi ha aperto un mondo ancora più bello ed emozionante, che già conoscevo, solo in piccola parte. In particolare la passione per la pet therapy nasce dal desiderio di trovare nuovi stimoli per lo sviluppo dell’integrità della persona, investendo soprattutto sulla sfera affettivo-emotiva, spesso posta nell’ombra dal pregiudizio. Si tratta di una dimensione per me molto importante, un filo che funge da potente motore di crescita. Sono fermamente convinta che per apprendere non sia sufficiente trasmettere informazioni, ma sia fondamentale coinvolgere la persona, bambino che sia. Solo sfiorando le corde del profondo, si riesce ad innescare quel turbine di sensazioni che attivano la persona, che la inducono a riflettere e agire consapevolmente, consentendole di divenire protagonista della propria vita. Gli animali diventano in tal senso un ponte emotivo per l’uomo, come dispensatori di messaggi non verbali autentici, slegati dai

CAPITOLO 1

Smiley e la sua storia Smiley, il golden retriver di 12 anni, che tutt’oggi sta donando un sacco di amore e sostegno ai disabili, a suo malgrado non ha avuto giorni felici quando era solo un cucciolo. Joanne George, la sua attuale proprietaria nonché tecnico veterinario ed addestratrice comportamentale, nel 2004, avendo sentito parlare di un mulino vicino Ontario, in Canada, con più di 100 cani abbandonati e ridotti in pessime condizioni, decise con altri tecnici di indagare ed andare a salvare più cani possibili. Fu così che incontrò Smiley; aveva ferite fresche sul muso con una gravissima infezione agli occhi. Sproporzionato fisicamente dalla nascita perché affetto da nanismo, ha dovuto affrontare momenti difficili per sopravvivere a causa della sua disabilità. Fu così che Joanne decise di tenerlo con se, fece curare le sue ferite e con il medico veterinario decisero di cucire le sue orbite per prevenirne l’infezione. Smiley all’inizio, si nascondeva sotto i tavoli e si rannicchiava impaurito a suoni o rumori forti. Tuttavia, dopo qualche mese, Joanne si rese conto che il suo alano, che aveva una grande personalità ed era anche un po’ chiassoso, lo stava aiutando a venire fuori dal suo guscio e ad adattarsi alla sua nuova casa. Da quel momento Smiley ha iniziato una nuova vita: ha trovato una nuova casa ed ha smesso di soffrire, ha trovato il modo di esprimere il suo amore per la vita, diventando un punto di riferimento per tante persone che lottano con disabilità più o meno gravi in Canada, ed ha cercato di dimenticare il suo triste passato. Attualmente Smiley lavora presso un’organizzazione di primo soccorso canadese, nella regione dell’Ontario York. Joanne, addestratore di cani professionista comportamentale, ha insegnato a Smiley a diventare un cane da terapia adattabile e versatile, con una grande parte del suo lavoro che coinvolge i bambini. Lei porta Smiley anche ai funerali; lo fa sedere accanto ai bambini che stanno vivendo una situazione emotivamente pesante, cosicché la presenza di un cane aiuti ad alleviare la tristezza che li circonda. Smiley visita anche una biblioteca locale per sedersi con i bambini affetti da autismo che hanno difficoltà a leggere, e passa il tempo in aule per gli studenti con bisogni speciali. Passa le sue giornate nelle cliniche insieme a persone disabili, con gravi problemi fisici e cognitivi ogni settimana, portandogli conforto e la sua sola presenza illumina le loro giornate, cambiando in quel momento i loro comportamenti. Per queste persone che sono nate con disabilità è importante comprendere e vedere che non sono gli unici “diversi”, che anche i cani nascono con disabilità più o meno gravi, e come nel caso di Smiley anche se non ha mai potuto vedere il mondo, anche se sbatte un po’ ovunque quando lo si chiama, ha sviluppato dentro di se una grande sensibilità ed ha affinato la sua comunicazione sensoriale, cosicché assistendo le persone con il suo amore, queste dimentichino per un po’ la loro disabilità non sentendosi troppo diversi. Questo ha reso Smiley amato da tutti.

CAPITOLO 2

Origine e definizione di I.A.A. La pet therapy, che anche Smiley tutt’oggi conduce in America, seppure diversa dalla nostra per decreti legge, nasce nel 1953. Fu lo psichiatra infantile, Boris Levinson, a enunciare per la prima volta, le sue teorie sui benefici della compagnia degli animali, che egli stesso applicò nella cura dei suoi pazienti. Levinson constatò che prendersi cura di un animale può calmare l’ansia, può trasmettere calore affettivo e aiutare a superare lo stress e la depressione. Dopo l’arrivo in Italia nel 1987, nel 2003ci fu un conferenza Stato-Regioni dove sancirono l’accordo sul benessere degli animali da compagnia e da pet therapy. Nel 2015 finalmente il Ministero della Salute approvò le Linee Guida Nazionali, che hanno consentito di definire le direttive per disciplinare a livello nazionale gli interventi di Pet Therapy, legittimandone la valenza riabilitativa in affiancamento alle terapie convenzionali. Da molti anni ormai si parla del significato terapeutico del rapporto con l’animale nelle diverse applicazioni assistenziali che hanno dimostrato evidenze scientifiche, cosicché le ricerche pionieristiche degli anni ’50 condotte da Boris Levinson non sono più una novità. Tuttavia non basta affermare che la presenza dell’animale “fa bene”, altrimenti rischiamo di cadere in visioni magiche quali si possono rinvenire nei racconti popolari: “se vuoi guarire da un’artrosi prendi una rondine in mano e toccati sulla parte malata”. D’altro canto questa versione naïf delle terapie assistite è facilmente divulgabile e in un contesto mediatico di banalizzazione del rapporto con gli animali ci sta la possibilità che delle persone o addirittura medici consiglino l’adozione di un pet per curare i disturbi del figlio o migliorare il tono cardiocircolatorio dell’anziano. Va subito smentita questa interpretazione: l’animale non è una medicina o un ricostituente, bensì è un essere vivente, è un soggetto relazionale che quando entra nelle nostre case richiede un preciso impegno di affezione, cioè di introduzione corretta nella sistemica familiare. Pensare di adottare un animale per avere un beneficio terapeutico è già un modo sbagliato per iniziare la relazione affettiva. Inoltre per apportare un beneficio è necessario affrontare prima i problemi specifici del paziente attraverso attività mirate, per cui per esempio, mentre un bambino iperattivo richiede attività di relazione calmanti e strutturanti, un anziano depresso e in solitudine ha bisogno di attività che stimolino le leve motivazionali. L’animale è un referente che sa guadagnare la fiducia della persona, che ha un forte potere seduttivo, che esercita un’influenza e facilita i processi di cambiamento; ma perché tale percorso sia effettivamente migliorativo e beneficiale, è necessario che si individuino delle specifiche attività di relazione. Per questo non è affidando un animale a un paziente che si intraprende un processo terapeutico, bensì prescrivendo specifiche attività di relazione condotte in seduta da un operatore che sappia arbitrare la relazione tra animale-utente. Il termine Pet Therapy deriva dall’unione di due parole inglesi: “pet”, animale d’affezione e “therapy” cura, ed è comunemente usato per indicare gli Interventi Assistiti dagli Animali. I.A.A. Oggi la pet therapy trova ampia applicazione in svariati settori socio-assistenziali, tra i quali: case di riposo, casa famiglia, ospedali, scuole, comunità di recupero. Gli interventi assistiti da animale si basano e si costruiscono sull’interazione uomoanimale, dove si evidenziano 3 tipologie di interventi diversi: · A.A.A. sono interventi di tipo ludico-ricreativo e di socializzazione, dove non vengono programmati obbiettivi specifici per ciascuna seduta. Ha come obbiettivo il miglioramento della qualità della vita. · E.A.A. sono interventi di tipo educativo con l’animale come mediatore. Sono individuati obbiettivi specifici per ciascun destinatario dell’intervento con la finalità di promuovere, attivare e sostenere le risorse residue e le potenzialità di crescita individuale, di relazione e inserimento sociale delle persone in difficoltà. Sono dirette da un professionista nel campo educativo/pedagogico. · T.A.A. sono interventi che supportano le terapie tradizionali personalizzate sul paziente (infatti è definita una co-terapia) che richiedono apposita prescrizione medica specialistica. È finalizzato al miglioramento della sfera fisica, cognitiva, neurologica, psicomotoria ed emotiva. L’obbiettivo di tutti questi interventi comunque sia è creare empatia, quel fenomeno per il quale il soggetto tende a proiettare se stesso nella struttura osservata ed a identificarsi con un altro essere vivente in una sorta di comunione affettiva. Le attività di Pet Therapy possono contribuire al benessere psicologico e facilitare il raggiungimento di obiettivi educativi e terapeutici. Nonostante i numerosi benefici, esistono dei casi in cui tali attività possono rivelarsi non idonee o rischiose, sia per gli utenti che per i pet. Per esempio, possono risultare controproducenti in casi di patologie organiche in cui è controindicato il contatto con gli animali (es.: patologia specifiche per inalanti, immunodepressione oppure la presenza di ferite aperte), oppure qualsiasi condizione ambientale o situazione relazionale che possa rappresentare pericolo o causare stress eccessivo all’animale. Risulta, dunque, di fondamentale importanza il monitoraggio costante e continuo dell’interazione uomo-animale, soprattutto nei percorsi che coinvolgono bambini o utenti psicologicamente deboli. Credo comunque che, anche se abbiamo linee guida o decreti diversi tra l’America e l’Italia, l’obbiettivo della pet therapy che anche Smiley con la sua conduttrice fanno tutt’oggi sia il medesimo, e che di fronte ad un cane con disabilità, il disabile riesce ad entrare maggiormente in contatto con le sue emozioni e sviluppa una maggiore comunicazione affettiva con il pet.

CAPITOLO 3

Alcuni metodi dell’apprendimento Sicuramente quando Smiley venne adottato da Joanne esibiva dei comportamenti legati alle sue paure, alla sua disabilità o semplicemente legate ad abitudini radicate al suo vissuto. Smiley attraverso i metodi dell’apprendimento è stato rieducato per diventare un cane da I.A.A. Il comportamento esibito da qualsiasi cane avente o meno disabilità, è un’azione strutturata con il fine di produrre un risultato che dipende da fattori che interagiscono con l’animale, siano essi genetici, ambientali, sociali ecc. ed ha la finalità di ottenere il massimo con il minimo sforzo per vivere più a lungo possibile ed al meglio possibile. L’apprendimento è un processo secondo il quale l’individuo è modificato, in maniera più o meno definitiva, da ciò che accade nell’ambiente circostante e da ciò che egli fa. Attraverso i sensi l’animale riceve degli stimoli dall’ambiente esterno di tipo neutri o attivi che provocano o meno una reazione. È possibile distinguere diverse modalità di apprendimento in base ai tipi di comportamento. In specifico esaminerò il condizionamento classico, il condizionamento strumentale ed il condizionamento operante. 1. Il primo approccio comportamentista dello studio dell’apprendimento fu il cosiddetto apprendimento di tipo associativo o condizionamento classico di Ivan Pavlov. Questo approccio, studia il particolare aspetto dell’apprendimento che riguarda gli stimoli in grado di stimolare un riflesso fisiologico. Sono famosi in psicologia, gli esperimenti di Pavlov con i cani; aveva notato che quando della carne veniva posata sulla lingua di un cane, si produceva una copiosa salivazione perché si aveva una risposta salivare riflessa. Se in associazione con il cibo e il suo odore, viene presentato un secondo stimolo che in natura non ha niente a che vedere con la salivazione del cane, per esempio il suono di una campanella, si osserva che dopo ripetute presentazioni dei due stimoli associati, il cane comincia a rispondere con la salivazione anche alla sola presenza del suono della campanella. L’atto di abbinare la carne con la campanella viene definito rinforzo. Sn+Si=Ri L’apprendimento consiste in questo caso nel fatto che il cane usa un comportamento che già possiede (reazione di salivazione) in risposta a uno stimolo diverso da quello programmato dalla natura tramite evoluzione. 2. A differenza dei comportamenti di risposta incondizionata dove l’individuo è passivo e subisce le condizioni dell’ambiente, quando il condizionamento è strumentale, l’individuo è invece attivo; l’organismo interagisce con l’ambiente alla ricerca del soddisfacimento dei suoi bisogni. Nell’apprendimento per tentativi ed errori l’individuo posto di fronte ad un ostacolo o ad una difficoltà, giunge ad adottare la soluzione corretta a forza di tentativi da cui progressivamente eliminerà gli errori. È stato Thorndike il primo a evidenziare sperimentalmente questo tipo di apprendimento utilizzando puzzle-box, in cui rinchiudeva dei gatti affamati, ed egli misurava il numero di tentativi necessari e il tempo trascorso nella scatola, prima che nel gatto si verificasse l’apprendimento voluto (per esempio tirare la cordicella). Inizialmente il gatto tirava la corda per caso e solo col passare del tempo e dei tentavi, gli errori diminuivano fino a scomparire del tutto. Thorndike elaborò la legge dell’effetto, che stabilisce che una risposta è più suscettibile ad essere riprodotta se provoca soddisfazione all’organismo, e di essere abbandonata se invece produce insoddisfazione. 3. Proseguendo su questa linea Skinner evidenziò i comportamenti del condizionamento operante. Per Skinner il raggiungimento di un comportamento efficace non dipende soltanto dal caso: spesso è frutto di un agente di rinforzo. Questo agente è costituito da quegli eventi o stimolazioni che, comparendo o scomparendo dopo un dato comportamento, aumentano la probabilità che l’evento si riproduca al fine di ritrovare la situazione rinforzante. Il setting di ricerca entro cui Skinner ha sviluppato questa teoria, è la Skinner Box. Nel suo interno c’è un topo che necessita di premere un tasto o spingere una leva per aprire una dispensa di cibo. L’animale affamato, in condizione di alta attivazione motivazionale viene spinto alla ricerca del cibo. Nel corso del normale comportamento esplorativo che il topo mette in atto, esso casualmente preme la leva per arrivare al cibo, che funge da rinforzo positivo. Questo comportamento, rinforzato, tende ad essere sempre più frequente, fino a quando l’animale arriva a premere direttamente la leva giusta. A questo punto l’animale ha appreso un’operazione condizionata dal rinforzo positivo del cibo. 4. Una particolare tecnica di apprendimento, detta modellamento (in inglese shaping) è stata sviluppata a partire dal condizionamento operante di Skinner. Consiste nel portare gradualmente un animale verso un comportamento desiderato attraverso un sistema di rinforzi; quindi si rinforza progressivamente e sistematicamente ogni risposta dell’animale che va in direzione del comportamento finale. L’animale si trova portato poco a poco a fornire la risposta esatta, associata a qualche atto che va nel senso della risposta finale. Per esempio, si può ottenere così che un piccione colpisca con il becco un disco luminoso, ogni volta che vuole ottenere un granello di cibo. L’apprendimento è il più importante dei possibili adattamenti comportamentali attraverso i quali l’organizzazione interna di un animale viene modificata in funzione della modificazione dell’ambiente esterno.

CAPITOLO 4

La comunicazione del cane Come possiamo vedere dalle foto e dal video di Smiley a lavoro e come ho potuto constatare di persona tramite il tirocinio e le visite guidate, il cane comunica attraverso un linguaggio non verbale che comprende anche tutti i sensi. Qualsiasi comportamento che esprime è comunicativo per comprendere il messaggio che il cane ci sta inviando; comunicare significa esprimersi non soltanto verbalmente ma anche non verbalmente. Possiamo anche notare che la prossemica del cane durante un intervento assistito, non viene rispettata dall’utente, quindi è più facile che i tempi di attenzione, di tolleranza o di accettazione delle “cure” prestategli, siano più brevi. Il cane sviluppa attraverso la comunicazione sensoriale (5 sensi) una sensibilità somatica, ovvero la capacità propriocettiva per la percezione del corpo nello spazio. L’olfatto è il senso più sviluppato nel cane; infatti il cane vede attraverso il proprio naso che rileva segnali chimici presenti sulle superfici e nell’aria. Nel para-olfatto, di grande interesse sono i ferormoni, che scatenano una risposta emozionale nel cane che li capta, determinando una risposta comportamentale. Il tatto è il senso che li mette a contatto diretto con il mondo e ne possiedono un elevata sensibilità intorno al muso. La vista si occupa di ricevere il messaggio visivo attraverso la postura del corpo e la posizione degli occhi, obliqua e distante tra loro, che gli permette un campo visivo di 240-290 gradi. L’udito è deputato a percepire i suoni e rumori provenienti dall’ambiente. Il gusto, attraverso le papille gustative, ha il compito di difendere l’animale allarmandolo. Tutto questo è amministrato dal sistema nervoso, dove arrivano dall’esterno attraverso i sensi le informazioni captate, e vanno a dare una risposta emotiva al sistema limbico, che già elabora gli stimoli provenienti dall’interno del corpo con quelli esterni, attraverso l’amigdala che ha un ruolo di archivio emozionale. La prossemica invece si occupa del modo in cui un individuo usa ed occupa lo spazio attorno a se, di come reagisce ad esso e di come se ne può servire per comunicare con gli altri. Possiamo definire quattro spazi prossemici: pubblica (estranei), sociale (conoscenti), individuale (amici), intima (partner=stesso branco/famiglia). Maggiore è l’intimità, minore è la distanza che ci separa. Per ottenere la fiducia necessaria ad occupare la zona intima, è necessaria grande delicatezza, sensibilità ed empatia. Tornando un passo indietro sulle origini del cane, concordo con Konrad Lorenz, fondatore dell’etologia, che studia il comportamento animale nel suo ambiente naturale, che sosteneva che il cane deve e può esprimersi liberamente. Attraverso l’etogramma, catalogo dell’insieme dei comportamenti naturali che caratterizzano una specie animale, possiamo considerare che per il cane esistono molti fattori controversi per quanto riguarda la definizione di comportamento naturale. Tutti i comportamenti naturali e non, sono legati al contesto/ambiente, allo stato interno/esterno dell’animale, alla socialità e alle interazioni che esso intraprende. Tutto il corpo può emettere comportamenti che hanno significato per chi li emette e capibili attraverso segnali informativi o comunicativi che l’animale esprime (alimentare, sessuale, materno,sociale…) Capitolo 5 Pregiudizi per i disabili ed esperienze di tirocinio La disabilità appare di frequente per la popolazione, come qualcosa che “non ci riguarda”. In generale, l’immagine della persona con disabilità risulta, quanto meno, poco rassicurante perché non inquadrata nei canoni estetici predefiniti, e per questa ragione, non viene accettata. L’immagine corporea rappresenta il primario aspetto su cui si fonda il pregiudizio nei confronti delle persone con disabilità. Per la maggior parte delle persone, infatti, il dover rientrare nei canoni di bellezza e perfezione proposti dalla cultura moderna diventa sinonimo di accettazione; di conseguenza,la disabilità, in quanto diversa da questo ideale estetico, è non accettazione, rifiuto, paura. La società occidentale, fin dalle più remote origini, si è fondata su alcuni canoni estetici incentrati nell’ottica di una corporeità creata sulla proporzione e sull’armonia. Proprio per questo motivo, per molto tempo, ha respinto nelle categorie della “mostruosità” e nella “diversità” quelle persone che a causa di menomazioni fisiche, psichiche e sensoriali si discostavano dai canoni estetici dominanti. Per poter parlare di disabilità bisogna innanzitutto capire cosa vuol dire vivere con una disabilità; da qui la necessità di informare ed educare alla conoscenza di essa entrando in empatia con il disabile. Questo è il primo passo per evitare incomprensioni e la caduta in obsoleti stereotipi. Se partiamo dall’idea che la disabilità è una delle possibili caratteristiche della condizione umana, allora non si sta parlando di qualcosa di sconosciuto, ma di un’esperienza che tutti nell’arco della vita potremmo trovarci a vivere e che, in quanto tale, va considerata normale. L’immagine che si è costruita delle persone con disabilità ha messo in risalto soprattutto il limite, la sofferenza: la conseguenza è stata l’esclusione, la marginalizzazione e persino,l’occultamento. La disabilità è il prodotto dell’interazione dell’individuo con la società; per cui, non è la presenza in sé di una limitazione nelle funzioni o strutture corporee che crea la disabilità e la non accettazione,ma è la presenza di barriere culturali e fisiche che impediscono la piena partecipazione delle persone alla vita sociale. Come individui, noi dobbiamo contribuire all’abbattimento del pregiudizio sulla diversità. Se le persone con disabilità sono diverse, la domanda a cui dobbiamo dare una risposta è: diverse da chi? Le persone disabili, vivono spesso situazioni difficili, perché non solo si devono confrontare con i propri limi, ma devono fare i conti con gli atteggiamenti di chiusura e con i tanti dubbi che le altre persone possono avere riguardo alle loro reali capacità e potenzialità. Eppure basterebbe veramente poco per evitare questa situazione di disagio, sarebbe sufficiente che ognuno di noi invece di avvalersi di una rapida occhiata per giudicare e farsi un’idea della persona con cui entra in rapporto, spendesse qualche minuto in più del suo prezioso tempo per osservare cosa si nasconde realmente dietro un involucro superficiale. Non è semplice ritagliarsi qualche momento in più per conoscere l’altro nel caos quotidiano, ma penso che valga la pena di impegnarsi e sforzarsi per evitare di provocare con rapidi gesti, sguardi e atteggiamenti, una situazione spiacevole a chi ci sta intorno; basta poco per regalare un sorriso in più. Sicuramente nel corso degli anni sono cambiate tante cose riguardo alla disabilità, c’è maggiore attenzione rispetto al passato, si utilizzano in modo più adeguato maggiori risorse, come gli I.A.A. e sono tante di più le persone che si pongono con una mirata sensibilità nei confronti di chi si trova a convivere con una disabilità; però penso che ancora tanto deve essere fatto per migliorare e migliorarsi in uno scambio reciproco e consapevole. Negli ultimi sette anni, Smiley ha insegnato alla gente a non soffermarsi su un handicap, da dove vieni o cosa ti è successo. Smiley esprime le sue emozioni di fronte a utenti con deficit cognitivi o fisici, anche dopo aver sofferto da piccolo per la sua grave infezione e soffrendo tutt’ora per il nanismo, che lo porta a controlli e cure mediche specifiche ogni settimana. La storia di Smiley dovrebbe far capire a noi conduttori del cane in I.A.A. e a tutte le persone, che non esistono cani o razze specifiche per la pet therapy, che non importa se il tuo cane è affetto da handicap come Smiley, ma sarà l’amore e l’empatia che si crea tra l’uomo e il cane a far diventare questo binomio unico.

CONCLUSIONE: Vorrei avviarmi alla conclusione della mia tesi parlando prima, della mia esperienza nel tirocinio alla Casa di Riposo e alla Casa Famiglia nei pressi di Lucca. Ho potuto vedere come gli anziani della casa di riposo al nostro arrivo ma soprattutto all’arrivo del cane si accendono, riescono a socializzare tra loro, quelle con abilità residue se stimolate, si attivano, si ravvivano i ricordi così da poter rompere la depressione e l’isolamento che le accompagna per tutta la settimana. Nell’esperienza con Bryce ho fatto usare anche degli oggetti del cane agli utenti come la spazzola, per poter stimolare la loro attività prensile e incrementare la soddisfazione nel prendersi cura di un altro essere vivente e farle sentire coinvolte nell’accudimento. L’obbiettivo primario di qualsiasi intervento assistito dovrebbe essere quello di migliorare il benessere della persona, ricreare l’omeostasi emozionale. Nella Casa famiglia invece c’è un clima molto più vivace, gli utenti con deficit cognitivi e fisici comunque sia riescono ad interagire con il cane anche attraverso oggetti come la palla o la spazzola, e interagiscono maggiormente su stimoli di gioco con il cane (es. nascondere il boccone per poi farlo cercare a Bryce). Ci sono stati anche piccoli miglioramenti periodici in alcuni soggetti che ho constatato attraverso le visite guidate che vi facevo e il tirocinio( come nel caso di Alessandra che all’inizio delle mie visite guidate se gli veniva chiesto di lanciare la palla al cane lei la lanciava verso la porta ed esprimeva un segnale comunicativo evidente di non accettazione; dopo qualche mese ha iniziato invece a esprimere segnali di tolleranza per il cane, ci sono stati attimi in cui sorrideva se gli veniva presentato il cane e la palla riusciva a lanciarla dentro la stanza). Al termine del tirocinio ho visto dei grandi cambiamenti empatici e comportamentali sia in me, come approccio alla disabilità, sia nel mio cane che pur essendo un eterno giovane di spirito, ha saputo rapportarsi all’ambiente e alle persone che ha incontrato in queste strutture, da lasciarmi pienamente soddisfatta per questo percorso intrapreso insieme. Concordo perciò in pieno con il pensiero e le ricerche scientifiche spiegate nel libro “La vita emozionale degli animali” di Marc Bekoff , che sulla base di numerosi anni di studio dei modelli di comunicazione animale, si focalizza sulla loro vita emotiva. I numerosi studi riportati dimostrano che le emozioni animali non solo ci danno lezioni sull’amore, l’empatia e la compassione, ma ci impongono di rivedere radicalmente il nostro modo di interagire con il mondo animale, sfruttato e dominato dall’uomo per millenni. Vi lascio come conclusione della tesi e del mio percorso come operatore I.A.A. ad un cortometraggio incantevole e commovente che racconta l’esperienza dei portatori di handicap con una storia delicata e mirata alla sensibilizzazione. L’animazione, intitolata “The Present” concilia due fragili realtà: quella degli animali e dei bambini che troppo presto devono confrontarsi con gli ostacoli della vita. Il cortometraggio mette in scena due giovani protagonisti ai quali manca un membro del corpo e lancia un messaggio forte con il quale invita a non lasciarsi mai per sconfitti. Entrambi si sono dati quel coraggio e quella speranza che in pochi potranno mai conoscere. Come insegna Smiley con la sua presenza e sensibilità durante un intervento assistito, la diversità non conosce barriere quando a renderci simili è l’amore.

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