Pet Therapy, Autismo e Neurodiversità
Lo scorso 25 Novembre al Centro Cinofilo DobreDog si è svolto un seminario dal tema “Pet Therapy, Autismo e Neurodiversità”, tenuto dalla logopedista - ed educatrice di trentennale esperienza presso l’IRCCS Stella Maris di Calambrone – Barbara Cerri. Prima di affrontare le tematiche di principale interesse, è stata fatta una panoramica approfondita sul concetto di “comunicazione”, e di tutto quello che da essa deriva.
Che cos’è la comunicazione?
Dal latino “communicare” (cum, insieme e munus, compito, impegno, dono), può essere definita come uno scambio (che sia esso più o meno volontario) di un messaggio tra due o più persone. Comunicare rappresenta il mettere qualcosa in comune, e soprattutto porsi nella condizione di ricevere. Il linguaggio, invece, implica l’utilizzo di un codice comune, utile a decifrare il messaggio scambiato durante l’atto comunicativo. La competenza linguistica, però, è solo una piccola parte della competenza comunicativa, in quanto all’atto pratico la comunicazione è una cosa estremamente complessa, influenzata da molteplici fattori (in primis dal contesto) che possono creare non pochi ostacoli, andando a creare una falla comunicativa.
“Nella difficile arte della comunicazione, tutti abbiamo da imparare”
Cos’è il Feedback?
Il feedback è il segnale di ritorno che va in direzione ricevente → emittente. Questo segnala il modo in cui il ricevente ha compreso il messaggio. Ed è proprio dalla qualità del feedback che comprendo che quello che conta non è tanto ciò che uno dice, ma ciò che l’altro recepisce dal mio modo di comunicare.
La cosa importante durante un atto comunicativo è andare a creare un significato CONDIVISO, aumentato o sminuito a seconda del contesto.
Quando comunicare?
La Dott.ssa Cerri ha evidenziato poi come scegliere il momento più adatto e rispettare i tempi dell’altro favorisca sensibilmente uno scambio produttivo di informazioni. La comunicazione necessita di un tempo che si adatti ai ritmi del pensiero. E’ stato spiegato che anche il tipo di relazione che si intrattiene con il ricevente cambia il contenuto e l’efficacia comunicativa, e questo risulta particolarmente evidente nei Disturbi dello Spettro Autistico. In una relazione terapeutica (o di apprendimento), infatti, la relazione emotiva è fondamentale. In caso di relazione non forte, invece, un disaccordo/scontro/errore porta inevitabilmente ad una frattura, e al conseguente allontanamento.
Come comunicare?
Come è stato accennato, le parole da sole non fanno la comunicazione; queste sono intrecciate ai segnali non verbali (come l’aspetto esteriore, la postura, lo sguardo ecc..) che vanno a rinforzare o smentire il messaggio verbale. E’ stato infatti visto che l’impatto complessivo di un messaggio è:
- 7% verbale
- 38% vocale
- 55% non verbale (para-verbale)
E’ quindi evidente che saper comunicare non è facile. In contesti particolari (come quando si ha a che fare con bambini o adulti neuro-diversi) dovrò adottare uno stile di comunicazione definito COMPLEMENTARE; in questo caso, infatti, dovrò adattarmi al contesto ed il mio modo di comunicare dovrà aiutare l’altro, fungere da perfetto fertilizzante, da cassa di risonanza. Sarà un tipo di comunicazione basato sulla reciproca fiducia, e sulle capacità umane più che su quelle dialettiche.
Cos’è l’Autismo?
E’ uno stato dell’essere che incide su tutti gli aspetti della vita, caratterizzato in da manifestazioni come:
- Iperfocus
- Interesse esclusivo e totalizzante
- Aticipità
- Stereotipie
Le recenti statistiche del CDC (Centre for Disease Control and Prevention) riportano che in America 1 bambino su 88 soffre di un disturbo dello spettro autistico. In Italia, invece, le stime parlano di 1 caso su 10.000 in età scolare (5-9 anni).
La diagnosi può essere compiuta entro i 3 anni di vita ed i segnali di rischio sono già presenti intorno ai 12-18 mesi. Tra i primi “campanelli d’allarme” c’è un difetto di interesse e partecipazione sociale, riscontrabile già in tenera età. In questi casi spesso sono i genitori stessi a chiedere il parere di un medico, descrivendo i loro figli come ipo-mobili, poco attivi e sfuggenti al contatto visivo diretto. Notano inoltre una debolezza dei comportamenti intersoggettivi, come:
- Scambi comunicativi faccia a faccia
- Condivisione con l’adulto dell’attenzione per gli oggetti non conosciuti (chiamato “Pointing denotativo”, ovvero il bambino che indica un oggetto per condividerne con l’altro lo stupore/meraviglia)
Nonostante esistano notevoli differenze anche tra due persone con la stessa diagnosi, in linea generale i Disturbi dello Spettro Autistico sono caratterizzati da differenze percettive (rumori, odori, stimoli visivi, risposta alla luce), emotive, cognitive e sociali. C’è usualmente una difficoltà ad aderire alla convenzionale forma dei rapporti umani e ad adattarsi alla sofisticata trama del mondo sociale. Vi è incapacità di anticipare le intenzioni dell’altro, di interpretare l’ironia ed il doppio senso, e di distogliere l’attenzione. Non vi è chiusura al mondo delle relazioni, ma è come se fossero mancanti delle chiavi di accesso ad esso. Tristemente, ne consegue il ritiro, visto che spesso i neuro-tipici non si “allungano” per andar loro incontro. Tutto ciò non accade invece con il mondo animale; nella maggior parte dei casi, infatti, i ragazzi con autismo dichiarano di sentirsi più a loro agio nei rapporti con i loro amici a quattro zampe, proprio per la facilità con cui entrambi comunicano senza il bisogno di aderire a intricate regole sociali.
E’ proprio così infatti che negli anni ’50 nacque la Pet Therapy, quando lo psicoterapeuta Boris Levinson rilevò per puro caso i benefici che la relazione con il cane apportavano ad un bambino autistico suo paziente. Egli, infatti, era più rilassato rispetto a quando non interagiva con l'animale. Questa esperienza segnò l'avvio di approfondite ricerche che portarono alla formulazione della “Teoria di Levinson” e, svariati anni dopo, alla Pet Therapy come noi oggi la conosciamo.
Come mai si parla di spettro? Sono disturbi molto variabili in termini di natura dimensionale (quindi per quanto riguarda la gravità) e continuità, e poi perché esistono dei sottogruppi. C’è una notevole eterogeneità sia clinica che sintomatica, motivo per cui è sbagliato avere pregiudizi al riguardo. Lo sviluppo neuro-divergente dalla neuro-tipicità non è una devianza, ma una semplice differenza che si colloca con continuità nel naturale spettro della varianza umana.
Proprio per questo, l’autismo in tutte le sue forme chiede a gran voce di essere riconosciuto e rispettato, come dovrebbe accadere per ogni altra variazione biologica (colore della pelle, statura, sesso ecc…)
Autore: Veronica Lo Giudice Operatrice Pet Therapy Dobredog Pisa