La progettazione di un percorso di zooantropologia didattica nelle scuole materne

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INTRODUZIONE
1.1 L’ADDOMESTICAMENTO DEL CANE
Da sempre la storia dell’uomo è stata caratterizzata da un continuo e costante rapporto con l’animale. In tutte le culture e le società, l’animale è stato indispensabile per la sopravvivenza umana: come fonte di cibo, come aiuto
nel lavoro e nella caccia.
Il primo animale a venire addomesticato fu il cane, all’incirca 15.000/10.000 anni fa; il cane divenne fin da subito animale dalle mille doti, si cibava di avanzi, contribuendo così a smaltire quelli che erano i rifiuti lasciati dagli
umani; faceva la guardia, difendendo l’uomo soprattutto di notte, permettendo così al branco umano un riposo più tranquillo; lo aiutava nella caccia, e per un certo periodo fu lui stesso cibo per gli uomini. Probabilmente il cane era già domestico quando gli uomini cominciarono a vivere sulle palafitte, oppure lo divenne nel corso di quel periodo che segna il passaggio dal Paleolitico al Neolitico e dalla vita nomade dell’uomo a quella stanziale, in cui comparvero
appunto le prime palafitte.(Lorenz, 1973).
Come Gallicchio B. (Gallicchio, 2001) ci ricorda, è evidente che per riuscire l’addomesticamento ha necessitato che gli animali fossero compatibili nelle loro caratteristiche naturali, con la specie umana. É chiaro che è sempre
esistita una forte similitudine tra la società umana e quella del cane: ad esempio sia l’uomo che il cane si basan
l’allevamento dei piccoli e sono capaci ambedue di capire vicendevolmente espressioni e atteggiamenti che riguardano sentimenti, o stati emotivi comuni, come amicizia, odio, gelosia, desiderio di comunicare (Gallicchio, 2001). Il lupo, essendo un animale gregario ha, più o meno facilmente, riconosciuto nel gruppo umano le varie gerarchie, i vari ruoli e si è adeguato ad avere nell’uomo il suo capo, conformandosi alla volontà di quest’ultimo. Il “Canis Lupus” ha sviluppato un sistema sociale tale da divenire il compagno dell’uomo.
Dopo l’addomesticamento, il cane ha cominciato a essere differenziato sul piano morfologico e attitudinale, in relazione ai lavori in cui l’uomo lo andava ad impiegare: cani da allarme e da guardia, cani da caccia, cani da pastore,
cani da tiro, cani da compagnia. Come riporta lo studioso Coren S. nel suo libro “L’intelligenza dei cani”, i cani da allarme, probabilmente, sono stati i primi ad essere utilizzati in modo ragionato per tale caratteristica
comportamentale mentre i cani da guardia da sempre hanno difeso l’incolumità del padrone. A tale proposito, Coren racconta del ritrovamento a Pompei dei resti del 79 d.C. di un bambino con il suo cane sdraiato sul suo
corpo. Si suppone che il cane, aveva protetto con il proprio corpo il padroncino dall’eruzione del vulcano. Ci sono testimonianze di cani usati anche come macchine da guerra, rivestiti con armature con punte, per ferire
cavalli o i soldati nemici, o con in dorso contenitori di pece bollente (Coren, 1994). Vennero usati anche durante la prima e la seconda guerra mondiale grazie al loro udito finissimo, per la guardia, per portare messaggi, per la
ricerca e il soccorso o al posto dei radar per segnalare l’avvicinamento degli aerei. I cani sono stati un valido aiuto nell’attività venatoria già dalla preistoria, quando l’uomo iniziò ad accorgersi di quali fossero le loro
capacità, iniziando così ad utilizzarle a suo vantaggio; per tale uso si selezionarono i più adatti, dando origine a particolari razze che tutt’oggi rientrano tra i “cani da caccia”. I cani da pastore sono stati differenziati per
tenere unito e per direzionare il gregge, taluni anche per difenderlo; non tutti sanno poi che il cane è stato usato anche come animale da tiro, non solo di slitte, ma anche di carri o per trasportare pesi e in alcune parti del mondo
continua a svolgere tale compito. Considerati pregiudizievolmente come “non produttivi” erano invece i cani da
compagnia; testimonianze di ciò ci arrivano già dall’Egitto predinastico, dove c’era una numerosa richiesta di tali animali, con il solo compito di tener compagnia al proprietario. Testimonianze come limitano le attività e vengono detti “d’assistenza”. Attualmente non esiste in Italia un Ente Governativo che svolga, in proprio, il compito di acquisire ed addestrare i cani da adibire a tali scopi. Secondo una suddivisione internazionale, tra i cani adibiti a tali mansioni ritroviamo i “Social Therapy Dogs”, che contribuiscono a facilitare la socializzazione di soggetti disabili o
ammalati, ricoverati in ospedali o cliniche. Oppure esistono i “Social Dogs”, cani con lo stesso ruolo dei precedenti ma che vengono affidati a un singolo paziente. I “Service Dogs”, che aiutano concretamente persone con patologie
motorie, porgendo loro oggetti, aprendo porte o trainando direttamente sedie a rotelle; gli “Hearing Dogs” i cani per non udenti, che fanno da “orecchio” ai propri padroni avvisandoli in caso di allarmi, sirene, clakson; i “Leader
Dogs”, cani per non vedenti, vere e proprie guide per la persona con tali problematiche. Vi sono poi i “Seizure Response/Alert Dogs”, cani con la capacità di prevedere in anticipo l’approssimarsi, ad esempio, di un attacco di
epilessia o di altre patologie, riuscendo ad avvisare per tempo la persona, che si prepara così a gestire la situazione di difficoltà. Infine gli “Speciality Dogs”, cani che non appartengono a nessuna delle categorie precedenti, o che
al contrario fanno parte, contemporaneamente, di più categorie. (http://www.difossombrone.it)
I cani sono anche impiegati in progetti di Pet-Therapy dove il beneficio che persone ammalate, disabili, o anche persone non affette da particolari patologie, possono ricevere, è costituito dalla relazione che si stabilisce con
l’animale, opportunamente “guidato” dal suo conduttore (Scheggi,, 2006).

 

1.2 LA CONCEZIONE DELL’ANIMALE NELLA STORIA L’avvalersi dell’utilizzo di animali per migliorare quelle che sono le classiche ed insostituibili cure mediche non è cosa moderna; infatti già per i popoli primitivi gli animali avevano un ruolo curativo. Nell’Egitto dei Faraoni, il cane era sacro al dio Anubis, protettore della medicina, spesso raffigurato nelle tombe al guinzaglio dello stesso; animali d’affezione hanno poi accompagnato le divinità dei popoli Sumeri, Caldei e Greci, soprattutto quelle collegate alla cura delle malattie (Scheggi, 2006). Gli animali venivano considerati come diffusori di un qualcosa di magico, con straordinarie qualità e in grado di esprimere la potenza della natura; intermediari tra il mondo umano e quello divino. Il rapporto uomo-animale si è così evoluto nei millenni attraverso tre momenti principali: 1° Concezione arcaica dell’animale. L’animale viene visto dall’uomo come una divinità, un totem, cosa già spiegata precedentemente. 2° Concezione economico-funzionale dell’animale. L’uomo è ora “padrone”, considera la Natura come un insieme di elementi al suo servizio, atti a soddisfare i suoi bisogni materiali, visione che sembra legittimata anche dalla teologia cristiana. Tale considerazione dell’essere non-umano è presente fin dalla Preistoria, ora però si perfeziona e si specializza l’attitudine a trarre vantaggio dagli animali. In poche parole si assiste a una desacralizzazione dell’animale e si rifiuta il suo carattere totemico; si considera anzi come una “macchina”, che non ha sentimenti né pensiero razionale, come dice Cartesio prima e come riprende poi Kant, ribadendo il ruolo utilitaristico dell’animale, del tutto privo di diritti, ma, verso il quale si deve avere un comportamento gentile, per evitare che la crudeltà sugli animali possa fomentare quella sugli umani. 3° Concezione etica dell’animale. Questa è la visione che si ha oggi dell’animale: ossia essere senziente, in grado di percezioni coscienti di gioia e di dolore; tutelato spesso e sempre più dalla legge. In tale ottica si inserisce infatti il concetto della Pet-Therapy: creare un rapporto comunicativo con l’animale che permetta un vero e proprio scambio finalizzato alla crescita comune. Come riporta Marchesini nell’introduzione all’edizione italiana, da lui curata, del libro di Montagner, “Il bambino, l’animale e la scuola” , il rapporto uomo animale varia nel secondo dopoguerra a causa della forte urbanizzazione, allontanando l’uomo da quella che era la sua normale frequentazione animale, ristretta soprattutto al mondo rurale. L’animale scompare improvvisamente dall’ambiente domestico; ciò da il via a una crisi pervasa da nuovi bisogni referenziali e relazionali nei confronti del mondo animale stesso. L’animale ricompare così attorno agli anni ’70, tempi della ricerca zoologica, delle prime pubblicazione sugli animali, che seppur rigide e con una visione del tutto antropocentrica, danno però il via a ciò che porterà poi negli anni ’80 alla pet-mania. Proprio negli anni ’80 nasce la necessità, sia in Europa che negli stati Uniti d’America, di dare una risposta scientifica ai temi dell’interazione uomoanimale, con la conseguente nascita di una disciplina apposita: la zooantopologia.

1.3 CHE COS’È LA ZOOANTROPOLOGIA. La zooantropologia si pone come obiettivo lo studio del rapporto uomoanimale, andando però a ricercare quelle che sono le motivazioni e l’aspettative che guidano la relazione con l’animale, con particolare attenzione ai benefici che l’uomo ne ricava (Montagner, 1995). Si cerca perciò, attraverso questa nuova disciplina di andare ad eliminare quelle paure, quei pregiudizi e quelle proiezioni errate che vanno a minare tale rapporto. La zooantropologia si rivela perciò essere una disciplina scientifica descrittiva dell’interazione uomo-animale, grazie all’ausilio dell’indagine etologica. (Marchesini e Corona, 2007). Accanto a questa zooantropologia, se vogliamo “teorica”, si va poi sviluppando una “zooantropologia applicata”, divisa in tre aree: – la consulenza nei problemi d’interazione, dedicata ai proprietari di animali; – la didattica zooantropologica dedicata ai bambini e ai ragazzi delle scuole; – l’attività assistenziale e terapeutica ausiliata dalla presenza animale (pettherapy). Nella zooantropologia applicata l’obiettivo d’intervento sono l’uomo e l’animale, la cui relazione permette, a seconda che l’ “uomo” sia un bambino o un anziano o un malato/disabile, di liberare quelle risorse interiori che invece normalmente sono represse nei rapporti interumani (Montagner, 1995). Gli ambiti d’intervento della zooantropologia applicata sono diversi e vari: scuole, case di cura, ospedali, comunità, etc… In tali contesti si vanno a realizzare progetti d’interazione uomo-animale volti alla conoscenza della diversità animale e alla valorizzazione della relazione attraverso specifici protocolli di didattica e di pet-therapy. L’interazione con l’animale ci può dare valenze diverse: -formative: ° aumento del vocabolario immaginativo; ° minore diffidenza verso il diverso; ° aumento del desiderio di comunicare; ° tranquillizzare e dare sostegno in situazioni di crisi; ° aumentare l’autostima, le relazioni empatiche ed accendere la fantasia; -didattiche: ° fungendo da centro d’interesse per permettere esperienze gioco-studio, che facilitano anche percorsi interdisciplinari; -assistenziali: ° facilitando rapporti sociali; ° offrendo stimoli tranquillizzanti e appaganti; ° diminuendo l’attenzione su stati depressivi e/o di ansia; -terapeutiche: ° svolgendo un ruolo positivo sul funzionamento cardiocircolatorio, in grado di diminuire così il rischio di cardiopatie; ° migliorando lo stato psicologico, grazie all’azione prodotta sui sistemi di neurotrasmissione e all’aumento di emissione di endorfine; La didattica zooantropologica realizza di fatto dei percorsi di avvicinamento e di conoscenza della referenzialità animale, migliorando l’interazione uomoanimale, attraverso strumenti interpretativi della comunicazione sottostante e attraverso la conoscenza della diversità animale. In tale modo si cerca di andare a fugare nel bambino situazioni anche patologiche di interazione come zoofobie, o zoointolleranze, valorizzando invece la presenza dell’animale come momento di conoscenza e comunicazione. (Montagner, 1995) Riassumendo, gli obiettivi che si pone la zooantropologia didattica sono quelli di migliorare la conoscenza dell’animale per educare al rispetto dello stesso; di valorizzare la relazione con gli animali in ogni situazione, insegnando il giusto approccio e dando informazioni sull’etologia dell’animale, sul suo modo di comunicare e sulla sua gestione quotidiana.

1.4 LA STORIA DELLA PET-THERAPY Sebbene tale pratica possa sembrare alquanto moderna, se ne ha invece testimonianza già a partire dalla fine del settecento; precisamente nel 1792 in Inghilterra, presso il York Retreat Hospital, lo psicologo William Tuke incoraggiava i propri pazienti psichiatrici a prendersi cura degli animali, perché aveva osservato che ciò portava tale persone all’autocontrollo e a uno scambio affettivo. Un’istituzione simile, denominata Betel, nata per pazienti epilettici la troviamo anche in Germania alla fine del 1800 e aveva al suo interno due fattorie con tanti piccoli animali da compagnia e con la possibilità di fare equitazione. Nel 1942, il Pawling Army Air Force Convalescent Hospital di New York, utilizzava già animali da compagnia per modulare positivamente lo stato psichico dei soldati feriti che avevano riportato gravi traumi emozionali dovuti alla guerra. La Pet-Therapy come vera e propria disciplina scientifica, sostenuta perciò da studi approfonditi e basata su dati scientifici, nasce attorno agli anni ’60 negli Stati Uniti. Il neuropsichiatria infantile Boris Levinson scopre per caso nel 1953 le reazioni che aveva un bambino autistico alla presenza del cane dello stesso psichiatra nel suo studio; il bambino, ad ogni seduta, si avvicinava spontaneamente e senza alcuna remora al cane e in presenza dell’animale diveniva più spontaneo. Il cane accettava naturalmente la relazione e permetteva al bambino di instaurare un contatto fisico; Levinson concluse che il bambino riusciva a sviluppare un autocontrollo nuovo, perché tale relazione era lui stesso a gestirla; tutto ciò portò inoltre ad un rapporto più stretto con lo psichiatra, migliorando anche la relazione umana; il cane era divenuto il “ponte” tra il terapeuta e il piccolo paziente. Levinson riporta i risultati dei suoi studi nel 1961 nel libro “The dog as Co-Therapist” ( Il cane come coterapeuta) utilizzando per primo il nome di “Pet-Therapy”. Qualche anno dopo, nel 1969 elabora in una nuova pubblicazione la “Pet-Oriented Child Psychoterapy” (Psicoterapia infantile orientata con l’uso degli animali). Nel 1970 presso l’Ospedale Psichiatrico Infantile del Michigan venne adottato un cane come sostegno psicologico per i bambini ricoverati. Le esperienze di Levinson, furono riprese poi nel 1975 anche da due psichiatri americani, Samuel e Elisabeth Corson, applicandole però a malati psichiatrici adulti. Anche i suddetti reagirono positivamente iniziando ad interag degli animali nella vita umana in generale e non soltanto sui soggetti psichiatrici. Soltanto nel 1996 si iniziavano ad attuare i primi veri e propri progetti: un primo programma di terapia viene attuato a Verbania e riguardava bambini con deficit visivi e plurihandicap; un altro progetto attuato nell’ospedale di Padova, chiamato “La fattoria in ospedale”, portava appunto gli animali domestici nelle corsie tra stupori e disappunti. Nel 1997 segue un altro importante convegno internazionale tenutosi a Padova, “Pet-Therapy, curarsi con gli animali”, contemporaneamente al quale l’Onorevole Ruzzante presentava al Governo una prima Proposta di Legge a favore della promozione dell’utilizzo di animali a fini terapeutici, cercando perciò di far riconoscere ufficialmente anche in Italia la Pet-therapy. Seguirà a questa prima Proposta di Legge, una seconda nell’aprile 2003 volta a distinguere le AAA (Attività Assistite dagli Animali) dalle AAT (Terapie Assistite dagli Animali) e a costituire una Commissione Nazionale, composta da diverse figure professionali atte a definire criteri, condizioni e requisiti per valutare sia le AAA che le AAT e per permettere il riconoscimento di procedure standard e valide. La terza Proposta di Legge viene presentata a maggio 2003 dal deputato Zanella. Precedentemente a questa nuova proposta di legge, viene emanato il Decreto del Presidente del Consiglio del 28 febbraio, proposto dall’allora Ministro della Salute G. Sirchia, che riconosce l’ufficialità della pet therapy. Tale provvedimento, che recepisce il precedente accordo Stato-Regioni e Province Autonome “Sul benessere degli animali da compagnia e pet therapy” è dimostrativo di una crescente cultura sempre più sensibile al benessere animale, e che vuole tutelare a livello giuridico la relazione uomo-animale, diffondendo allo stesso tempo il rispetto per la dignità animale. Dalle tre proposte nasce poi un “Testo Unificato” di Mancuso, finalizzato alla “disciplina delle Attività e delle Terapie Assistite dagli animali” che vorrebbe unificare ciò che è stato proposto, approfondendo meglio ad esempio la composizione della Commissione Nazionale, o i requisiti che devono avere gli animali impiegati in tali attività, a quali controlli andranno sottoposti; vietando allo stesso tempo l’uso di animali selvatici o esotici. (http://www.anucss.org) Come si può vedere da questo breve excursus, in Italia ad oggi non vi è ancora una legge chiara su tale tematica, anche se ci sono state parecchie proposte .

1.6 DIFFERENZE TRA AAA, TAA, EAA Pet Therapy – in italiano Uso Terapeutico degli Animali da Compagnia (UTAC) è un termine generico che indica un supporto ai metodi di cura che interessano alcune patologie con l’ausilio degli animali, ma non solo (Allegrucci e Silvioli, 2007). Tale termine, nasconde ambiguità che possono dare adito a fraintendimenti concettuali: non fa capire bene chi sia il fruitore della terapia, se l’uomo o l’animale, e può far pensare che si utilizzino esclusivamente animali da compagnia come cane o gatto; vengono invece impiegati anche cavalli, delfini, animali da cortile come conigli, caprette, etc. L’elemento d’interesse è la relazione che l’animale può instaurare con l’essere umano e quest’ultimo è il «fruitore» dell’intervento. La Pet Therapy si presenta sotto diverse forme: le Attività Assistite con gli Animali (AAA), le Terapie Assistite con gli Animali (TAA), l’Educazione Assistita con gli Animali (EAA). Non sempre la linea di confine tra queste tipologie risulta chiara. Sebbene diverse ricerche abbiano dimostrato che il contatto con gli animali – per gli input emotivo/sensoriali gioiosi e rilassanti che offre – di per sé può avere effetti terapeutici dal punto di vista psicofisiologico, anche su bambini con gravi disabilità intellettuali (Lima et al.,2011) non sempre si può parlare di Pet Therapy. Va sottolineato che l’adozione di un animale domestico, costituisce un apprezzabile plusvalore, ma non si tratta di Pet Therapy. Le AAA. Le AAA, ovvero Attività Assistite dagli Animali, sono interventi di tipo ricreativo e/o terapeutico, con l’obiettivo di migliorare la qualità della vita di determinate persone, che possono essere anziani, malati o soggetti che conducono una vita che li porta alla solitudine (Allegrucci e Silvioli, 2007). Un animale in questi casi facilita la socializzazione, stimola a una certa attività motoria, insomma porta benefici concreti, favorendo momenti di svago e divertenti. Tale attività sono condotte da personale apposito, formato sia da professionisti veri e propri, che da volontari. Queste attività possono essere sia attive-dirette, prevedendo il contatto fisico con l’animale, oppure attive-indirette, dove la persona non entra in contatto diretto con l’animale, ma può osservarlo in ciò che fa, ascoltare i suoni che emette. Tali attività di solito non hanno obiettivi specifici, cioè programmati per ogni incontro e non sono dettagliatamente organizzate come ad esempio le TAA o le AAE; sono appunto caratterizzate da una maggiore spontaneità, anche nella durata temporale degli incontri. Le TAA Le terapie assistite con gli Animali, sono co-terapie rivolte a persone con patologie fisiche, psichiche e affiancano le tradizionali cure (Allegrucci e Silvioli, 2007). Per realizzare tali terapie vengono coinvolte più figure professionali tra cui medici, psicologi, assistenti sociali e il conduttore del cane. Ad ogni fruitore le figure professionali dovranno stendere un protocollo terapeutico individualizzato, in modo da decidere come agire, con quale tipo di animale in base a ciò che è stato diagnosticato. Queste terapie mirano a migliorare funzioni fisiche, sociali, emozionali e cognitive della persona e vengono attuate in ospedali, ospizi., carceri, comunità varie. Sono utili nel recupero di tossicodipendenti o nella riabilitazione di persone affette da HIV, con sindrome di Down, in bambini autistici. Esistono risultati scientifici che dimostrano tale utilità materialmente; ad esempio si è visto che queste co-terapie sono di aiuto anche in bambini ospedalizzati e sotto trattamento anti-dolorifico. Bene, l’interazione con l’animale riduce il dolore percepito e in taluni casi si è dimostrata avere un effetto non dissimile da quello dato da un antidolorifico; questo perché la relazione con l’animale fa sì che si liberino endorfine, importanti al fine di uno stato di benessere, e linfociti, che invece aumentano la risposta immunitaria dell’organismo (Braun et al., 2009). Ciò che avviene tra paziente e animale non è casuale, ci si prefigge degli obiettivi da raggiungere e si immaginano quali risultati si potranno ottenere; inoltre in tali terapie verrà effettuata una raccolta di dati, misurati empiricamente, per una valutazione finale degli esiti. L’EAA L’Educazione Assistita dagli Animali, è una forma di educazione mediata dall’animale, appositamente preparato, e viene attuata soprattutto in contesti educativo-formativi, dove si rivolge soprattutto a bambini o ragazzi (Allegrucci e Silvioli, 2007). L’obiettivi di tali interventi sono: avere una maggiore conoscenza del mondo animale, soprattutto di quegli animali che, come il cane, il gatto, maggiormente interagiscono col bambino, andando a descrivere caratteristiche di specie e l’etogramma. Oltre a fare accettare la diversità come un plus valore, si mira ad evitare incidenti dovuti soprattutto alla mancanza di informazioni sul comportamento e sul modo di comunicare di tali animali. Gli interventi di EAA (Educazione Assistita dagli Animali), detta anche Zooantropologia Didattica, non sono ancora oggi capillarmente diffusi, forse come già sottolineava il Professore H. Montagner, non si è ben capito veramente l’importanza su quanto la vita animale possa apportare alla conoscenza dei bambini e all’elaborazione di strategie pedagogiche ed educative. Nel 1973, il dr. Condoret, medico veterinario francese fondatore della “Società per lo studio psico-sociologico del rapporto tra animale domestico e bambino”, dopo avere effettuato uno stage presso Levinson, si occupò del rapporto tra animali e bambini con difficoltà di linguaggio, facilitando la rieducazione dei piccoli pazienti tramite il rinforzo dovuto alle risposte dell’animale alle verbalizzazioni corrette dei richiami. Condoret ha sempre sostenuto l’importanza dell’animale nella scuola, promuovendo la sua presenza fin dalla scuola materna; l’animale difatti rivela le svariate capacità nascoste nel bambino, aiutandolo nella sua formazione. Difatti, anche in bambini molto piccoli si riesce a capire, indirettamente, attraverso discorsi e disegni, quali sono le capacità emozionali, affettive, relazionali e immaginative. (Montagner, 1995). Sempre secondo Condoret, la classica paura della scuola che si presenta all’età dei sei anni, può essere risolta con la cooperazione di un quattro zampe. L’animale, infatti, aiuta il bambino a superare il delicato passaggio dal linguaggio orale a quello scritto, a lasciare l’universo dell’espressione gestuale per entrare nel mondo convenzionale dei segni, dei codici e delle lettere. Il meccanismo di questo passaggio è semplice: l’animale, attraverso il gioco e la comunicazione non verbale, esercita sui bambini difficili o nei momenti critici della crescita, una funzione importante, sia educativa che terapeutica. Un bambino impaziente e aggressivo diventa l’opposto se ha l’opportunità di interagire con un animale (Montagner, 1995); lo stesso animale diventa una ricca opportunità e strategia per genitori ed insegnanti, in caso di situazioni particolari, come nuovi avvenimenti familiari (nascite, morti, divorzi), l’arrivo di nuovi compagni scolastici, lo spostamento in nuovi ambienti. Nei bambini che hanno modo di avere queste interazioni con l’animale, si nota uno sviluppo migliore e più veloce nel saper gestire le proprie azioni, nel saper prendere decisioni, nel saper osservare e anticipare scelte, facendo sì che la stima in se stessi cresca; ciò risulta molto utile in quei soggetti naturalmente più introversi e timidi. (Montagner, 1995) Lo scambio di osservazioni, opinioni, domande, disegni, si rivela così molto costruttivo proprio perché privo di “costrizioni” scolastiche. Anche l’immaginazione e la fantasia vengono sviluppate, cosicché i bambini siano motivati ad imparare anche in situazioni di difficoltà; si assiste poi ad una generalizzazione di regole e leggi e ad una traslazione più facile e più spontanea delle conoscenze da un contesto ad un altro (Montagner, 1995). L’animale aiuta il bambino a scoprire le proprie capacità fisiche: attraverso il gioco con l’animale, il bambino sollecitato, esprime un largo ventaglio di abilità motorie, comprendendo meglio il proprio corpo e sviluppando un certo autocontrollo. La propria fisiologia è appresa meglio se confrontata con quella di altri animali; avendo poi la possibilità di poter allevare, anche in classe, animali, si sviluppano responsabilità sia individuali che collettive; ciò risulta avere un gran peso nella formazione (Montagner, 1995). Nei progetti di Educazione Assistita dagli Animali si possono utilizzare vari animali, come il cane, o il gatto, o anche il coniglio e altri animali da compagnia; c’è però da sottolineare una preferenza nell’avvalersi della presenza del cane; nessun altro animale è in grado di stabilire un rapporto con l’uomo come invece fa il cane; l’uomo ha sentito la necessità di addomesticarlo prima di ogni altro animale, ritrovando in esso un animale sociale come del resto è il genere umano. Il cane è da sempre l’animale che maggiormente interagisce con l’uomo, ma è anche l’animale che meglio di ogni altro riesce a stabilire con noi un legame intenso e duraturo. Le razze impiegate sono diverse, non vengono esclusi neppure i meticci; non ci sono perciò discriminazioni di razza, ma esistono degli indici di attenzione nei confronti dell’indole del soggetto, che non debbono essere sottovalutati. Ultimamente si sta diffondendo anche la pratica di utilizzare in tali progetti cani abbandonati, che si trovano da tempo in canili municipali, permettendo anche a loro di riscattarsi; naturalmente i soggetti coinvolti vanno, ancor più, scelti con molta cautela, facendo attenzione per l’esperienze sconosciute che potrebbero aver vissuto nella loro vita (Scheggi, 2006). Il cane, inoltre, ha una buona capacità istintuale e pertanto non mette in atto meccanismi psicologici difensivi, ma propone rapporti diretti, veri e lineari. Non interpreta ne falsifica; tanto meno giudica la diversità della persona, come invece possono fare gli uomini; il cane infatti riesce a riconoscere anche la disabilità della persona con handicap, regolando il suo comportamento in base alla situazione che ogni volta si trova davanti; aspetti come un eccessiva salivazione, forti odori o stridii e vocalizzi particolari, accompagnati da stereotipie comportamentali, non generano fuga o rifiuto, anzi sono per un certo verso normali per il mondo comunicativo-relazionale che hanno i cani, e possono addirittura catalizzarne l’interesse (Allegrucci e Silvioli, 2007). I cani sono in grado di leggere il linguaggio corporeo (espressione del viso, atteggiamenti….) e di percepire, attraverso le produzioni ormonali, i diversi stati emotivi dell’altro. Deficit fisici, sensoriali, e/o psichici delle persone, non ostacolano la comunicazione, visto che quella canina è prettamente corporea e perciò non-verbale. (http://www.universocane.it) Ama giocare, ed è per questo, un vero e proprio stimolo motorio: giocando con il cane, i bambini ne ricavano sensazioni benefiche ed hanno modo di arricchire la loro comunicazione gestuale e tattile, accrescendo anche la consapevolezza dell’intensità del tocco e favorendo il coordinamento oculomanuale. E’ un utile facilitatore sociale, attirando l’attenzione della gente su di sé aumenta i contatti fra le persone e perciò favorisce la socializzazione. (http://www.universocane.it) Attitudini naturali del cane nel rapporto psico-terapeutico: – docilità: e cioè la predisposizione ad accettare l’uomo come superiore gerarchico. Il cane essendo un animale di gruppo instaura relazioni di dipendenza dall’uomo. – socievolezza: e cioè la capacità di inserirsi naturalmente in qualsiasi ambiente, di comunicare con chicchessia senza esitazione, timori, paure, preoccupazioni o ansia. – buon temperamento e tempra: il saper reagire e resistere agli stimoli esterni di qualsiasi natura. – curiosità: l’interessarsi in modo del tutto naturale all’esplorazione di ambienti e territori nuovi. -vigilanza: essere in grado di avvertire situazioni esterne pericolose. (http://www.universocane.it) In generale, i cani impiegati nelle Pet-Therapy, a seconda dei compiti a cui sono sottoposti, avranno tre diversi livelli di preparazione: al primo livello si troveranno quei cani che sono adatti a interagire con bambini ed adulti in ambienti poco affollati e rumorosi, e in grado di svolgere dei compiti abbastanza semplici; al secondo livello, invece ci saranno quei soggetti pronti a lavorare in ambienti più complessi, come ospedali o comunità di recupero, svolgendo compiti più gravosi; infine, al terzo livello si troveranno cani particolarmente “forti” ed addestrati, per poter svolgere la loro attività in ambienti veramente difficili, come lo possono essere i manicomi criminali. (Fossati, 2003) I criteri di selezione per questo tipo di cani dovranno comprendere parametri veterinari, di temperamento e di comportamento; ogni cane dovrà essere sottoposto ad una serie di controlli veterinari da ripetersi, poi, periodicamente per accertare il suo buono stato di salute. Riguardo al temperamento dovranno essere evitati nell’uso cani eccessivamente tranquilli o apatici, cioè indifferenti agli stimoli e perciò non in grado di relazionarsi correttamente al fine di creare una buona relazione con la persona; allo stesso modo saranno esclusi cani tropo esuberanti. Non esiste, tuttavia, uno standard caratteriale migliore di un altro in assoluto: per ogni utente esiste un cane più adatto in base alle diverse necessità e circostanze. (Scheggi, 2006) Va ricordato comunque che le attività di zooantropologia, in generale, utilizzano la relazione con l’animale, e non l’animale come strumento; per realizzare una relazione è perciò necessario che sia salvaguardata la soggettività del pet, in questo caso del cane, evitando la sua trasformazione in oggetto. (Corona e Marchesini, 2007). Uno degli obiettivi di tali progetti rivolti a bambini e ragazzi, è di evitare che si verifichino incidenti tra il bambino e il cane. Tali episodi negativi sono dovuti soprattutto a mancanza di conoscenza riguardo alla comunicazione del cane; spesso noi umani mandiamo messaggi sbagliati o ambigui all’animale che potrebbero scaturire in episodi aggressivi. Nel corso dei millenni, il rapporto uomo-cane non ha posto grandi problemi fin quando lo stesso animale era posseduto per un reale uso da parte dell’uomo e tale relazione si fondava perciò sull’utilità del cane. I problemi iniziano a nascere, invece, quando il cane perde la sua utilità e viene perciò posseduto solo per soddisfare nuovi bisogni e desideri; ciò si verifica in contemporanea ad un reale cambiamento nello stile di vita dell’uomo, che lascia le campagne per trasferirsi nelle città. Il cane, via via, diviene il soddisfacimento, per l’uomo, di un desiderio di dominio e assume ruoli che vanno dal fare la guardia alla casa, fino al compensare la solitudine stessa della persona o a sostituire, nei casi limite, il ruolo che ha un bambino (Montagner, 1995). Chanton, etologo e specialista dello studio dell’interazione uomo-cane, e fondatore di un centro europeo apposito, ha nella sua lunga carriera, raccolto dati scientifici sui problemi di comunicazione che si verificano tra uomo e cane. Come lui riporta, la maggior parte dei conflitti e degli errori che si verificano in tale relazione, derivano dalla “non conoscenza” di regole semplici ma fondamentali, che riguardano appunto il comportamento sociale del cane; spesso, va a trovarsi in situazioni ambigue o difficili da sopportare e questo a causa nostra. (Montagner, 1995) Il cane basa la sua comunicazione su dei rituali che hanno la funzione di ridurre l’ambiguità, evitando appunto l’atto aggressivo, attraverso vari segnali, detti “calmanti”; ed evitare conflitti è fondamentale per tenere unito il gruppo. Il sistema di comunicazione del cane si basa su quattro forme diverse: – attraverso l’olfatto si stabilisce la comunicazione chimica, che avviene tramite “feromoni” e gli “odori sociali”; – attraverso il canale visivo, per cogliere posture e mimiche; – attraverso il canale acustico, e cioè i vocalizzi; – attraverso il canale tattile, il contatto fisico; (Pageat, 1999) La comunicazione chimica attraverso feromoni è prettamente intraspecifica; i feromoni sono sostanze secrete all’esterno dell’organismo, attraverso specifiche ghiandole, e sono in grado di modificare il comportamento o la fisiologia del ricevente. Si tratta perciò di un sistema di comunicazione abbastanza rigido; in base a quello che è il suo stato emotivo e fisico, infatti, il cane emette specifici feromoni in specifiche circostanze. Esistono feromoni d’appagamento, che si ritrovano nel rapporto cucciolo-madre ed hanno la funzione di appagare e tranquillizzare il piccolo; feromoni d’allarme, lasciati in situazioni di pericolo, quelli di identificazione, per riconoscere i membri del gruppo, quelli sessuali e poi quelli territoriali. (http://www.cinomania.net) Gli odori sociali sono invece tutte quelle sostanze che assumono significato con l’apprendimento e che identificano un determinato gruppo sociale, un luogo, una persona. La comunicazione acustica è quella tramite vocalizzi, ovvero i suoni emessi dal cane, e possono essere: il latrato, il ringhio, l’ululato, il grido acuto, l’uggiolio e il tossicchiare. I vocalizzi dipendono dallo stato emotivo del cane: – il latrato: può accompagnare stati d’allarme, ma si associa anche a stati emotivi ambivalenti; – il ringhio: fa parte invece della fase intimidatoria prima di un’aggressione; – i guati: sono emessi in situazioni di paura o dolore, oppure quando il cane si sta sottomettendo a un altro; – l’ululato: non viene emesso da tutti i cani, e di solito interviene in stati emotivi più difficili, come ad esempio in caso di ansia da separazione. (Pageat, 1999) L’uomo può utilizzare una comunicazione vocale col cane, a patto che ogni parola sia chiara e soprattutto associata a gesti o a oggetti precisi. I cani comunicano anche attraverso il tatto, tramite contatti diretti tra cane e uomo, o cane e cane. Si possono classificare 3 tipi di contatti: – I contatti gerarchici: quelli che intervengono nello stabilire i rapporti sociali e possono essere, ad esempio, l’appoggio di una zampa dell’animale dominante sul dorso o sulla testa del soggetto dominato. Spesso questo comportamento il cane lo ripropone anche con l’uomo. – I contatti di rassicurazione: vengono utilizzati dal cane sottomesso principalmente per calmare e rassicurare l’altro; possono comprendere “strusciamenti”, talvolta accompagnati da leccate o mordicchiamenti e deboli guaiti, se vi è forte carica emotiva. – I contatti sessuali: sono quelli che vengono stabiliti nel momento dell’approccio sessuale. I cani, spesso cercano di stabilire anche con i membri della famiglia un contatto simile. (http://www.skadog.it) Veniamo infine alla comunicazione visiva; questo tipo di comunicazione utilizza le posture del corpo, la mimica facciale e i movimenti. È praticamente coinvolto tutto il corpo: la testa, gli occhi (sguardo), le orecchie, i denti, la coda, l’evidenziazione di certe zone del corpo e la piloerezione. È quindi importante imparare ad osservare come il cane tiene le orecchie, la coda, come si posiziona con il corpo per capire meglio cosa vuole “dirci”. Alcune delle posture che mirano ad evitare lo scontro, riducendo lo stesso come ultima possibilità, possono essere: il farsi più piccoli, abbassare il collo e le orecchie, esporre la regione inguinale, sedersi, o mettersi in decubito laterale con un arto posteriore sollevato. Fanno parte della comunicazione visiva anche i “segnali calmanti”, scoperti a fine anni ottanta da Turid Rugaas, la quale si accorse appunto di come dei piccoli movimenti, talvolta quasi impercettibili, potessero cambiare lo stato d’animo tra cani. Tali segnali vengono, come già accennato, utilizzati a “scopo preventivo”, per evitare conflitti, placare minacce, o anche autocalmarsi in situazioni stressanti. Esempi di ciò possono essere: il girare la testa e guardare altrove, il socchiudere gli occhi, mettersi di lato o di spalle; leccarsi il naso, immobilizzarsi, sedersi o mettersi a terra; sbadigliare, assumere la posizione di gioco o annusare a terra, schioccare le labbra, ignorare l’altro. Il cane oggi vive in un gruppo sociale umano, dove la comunicazione è quasi esclusivamente verbale, la quale si compone di tre parti fondamentali: – il senso delle parole; – l’intonazione con cui si pronuncia il discorso, che rivela la connotazione affettiva dello stesso; – le pause e i silenzi; (Montagner, 1995) La comunicazione non verbale si basa invece su sguardi, movimenti, sulla mimica e sulle posture. È proprio questo tipo di comunicazione che vince sul cane, che invece tralascia spesso quella verbale, essendo, per lui, la parola solo un segnale sonoro, spesso privo di significato. Le incomprensioni si generano quando il significato verbale di un messaggio si rivela opposto a quello non verbale. Conoscere la vita sociale del cane e la sua comunicazione, ci permette perciò di vivere una vita più serena. I bambini, sono disposti, se opportunamente agevolati, molto più degli adulti “a creare regole comprensibili all’animale che contribuiscano a farlo vivere meglio”. (Montagner, 1995)

CAPITOLO 2° 2.1 SCOPO DEL PROJECT WORK L’obiettivo ultimo di questo project work era far conoscere la comunicazione del cane a bambini delle scuole materne, così da cercare di ridurre i possibili incidenti tra bambini e cani, dovuti a gap comunicativi che possono crearsi durante l’interazione. Naturalmente l’obiettivo era anche riuscire a trasmettere tali nozioni a dei bambini così piccoli, cercando di usare delle strategie e dei linguaggi appropriati alla loro età; un ulteriore scopo era verificare se e in quali termini si avevano dei cambiamenti di comportamento dei bambini nei confronti degli animali o delle persone con cui venivano in contatto, come ad esempio un differente approccio, o un interesse diverso.. Il progetto si è svolto presso il centro cinofilo “Dobre-Dog A.S.D.” dal 15 Novembre 2010 al 10 Febbraio 2011.

CAPITOLO 3° 3.1 SOGGETTI, MATERIALI E METODI 3.1.1 SOGGETTI Questo progetto di Zooantropologia didattica, chiamato “Orme per crescere”, è stato realizzato con tre classi, due classi di bambini di 4 anni e una di bambini di 5 anni, per un totale di 55 bambini. I bambini sono stati divisi in 2 gruppi in base alla loro età: il primo gruppo era composto da 30 bambini di 4 anni; il secondo gruppo formato da 25 bambini di 5 anni d’età. Gli incontri, della durata di un’ora, sono stati 8 per ogni gruppo, si sono svolti durante il normale orario scolastico con la collaborazione delle insegnanti di riferimento, e con la presenza costante dei due conduttori dei cani che hanno partecipato al progetto. I cani impiegati sono stati due: Valentino, un maschio di Border Collie di 4 anni d’età, condotto da Francesco Fabbri e Gea, un meticcio femmina di 3 anni e mezzo, condotto da Irene Galella. In foto, Gea e Valentino I genitori hanno dato il loro consenso a tale attività e sono stati coinvolti nella manifestazione finale e nella compilazione dei questionari. L’elaborazione statistica dei dati è stata effettuata su un numero totale di 33 questionari essendo gli unici pervenuti entro il termine del project work.. 3.1.2 MATERIALI Durante questi incontri sono stati utilizzati un “cane di legno”, molto somigliante a un Border Collie bianco-nero, sul quale si potevano fissare le parti del corpo del cane (testa, coda zampe..), cartoncini, colla, forbici e dei cerchietti per capelli, per costruire le orecchie del cane; immagini di musi e posture di cani a diversi stati emozionali (vd. Immagini sotto). Sono stati utilizzati dei sacchetti di carta marrone contenenti diversi oggetti tra cui pelo, o il collare, oppure anche con oggetti che con il cane non avevano niente a che fare, come zucchero, o pennarelli; tutto ciò per realizzare un gioco importante al fine dello sviluppo del tatto. Alle maestre delle classi che hanno partecipato al progetto è stato fornito un cartellone con le 10 regole rivolte ai bambini, per evitare incidenti con i cani, ed elaborate da Etovet e dalla facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università di Pisa. Negli incontri sono serviti anche: bocconcini e giochi del cane e tutto ciò che serve alla normale toelettatura canina, come spazzole e asciugamano. Parte degli incontri sono stati ripresi con una videocamera e sono state fatte fotografie. 3.1.3 METODI Ogni gruppo di bambini veniva posizionato dalle maestre, prima dell’inizio delle lezioni, seduto a semicerchio su delle piccole panche. La prima lezione ci siamo presentati ai bambini e abbiamo spiegato loro qual’era il motivo della nostra presenza, Per stabilire un rapporto più confidenziale con i bambini e stimolare in loro un nuovo interesse, abbiamo insegnato “La canzone dei Cagnolini” accompagnata da una semplice coreografia. È stato poi presentato il “cane di legno”, stratagemma per illustrare ai bambini il corpo del cane, evidenziando nello specifico: testa e collo; zampe anteriori; pancia; zampe posteriori; coda. Siamo andati a chiedere di conseguenza, per ogni parte del corpo, quale fosse la sua funzione; sul cane di legno abbiamo chiesto poi ai bambini di indicare dove avrebbero collocato le varie parti del corpo, utilizzando delle sagome di legno da apporvi e colorate in modo diverso l’una dall’altra, come se fosse un puzzle; ad ogni bambino si è consegnato un disegno raffigurante un cane dove poter colorare ciò che avevamo precedentemente spiegato. La lezione si è conclusa con la canzone insegnata all’inizio. In foto: “cane di legno” La seconda lezione frontale è iniziata con il ripasso delle parti del corpo del cane, successivamente sono state fatte costruire ai bambini le orecchie, che poi hanno indossato. Dopo di ciò sono state mostrate loro 3 immagini dello stesso cane ma a diversi stati emozionali. In questo modo è stato spiegato come il cane comunica con noi, focalizzando l’attenzione sull’osservazione di alcune parti del corpo dell’animale. Il terzo incontro è quello in cui per la prima volta si è introdotto il cane: Gea ha lavorato con i bambini di 4 anni e Valentino con quelli di 5. Prima dell’introduzione del cane, sono state presentate le 1ª Non correre mai verso un cane che non si conosce, meglio aspettare che lui si avvicini e ci annusi. 2ª Non avvicinarsi ad un cane di fronte, ma sempre di lato. Utilizzando i “volontari” che impersonavano il cane, si è permesso ai bambini di simularci un primo avvicinamento, dopo aver spiegato loro il giusto modo per avvicinarsi a un cane: – andare verso l’animale facendo un percorso a semicerchio senza guardarlo mai fisso negli occhi; – mettersi di fianco a lui e fare annusare una mano; – infine fargli una bella carezza sulla schiena; In foto: una bambina prova l’avvicinamento a un volontario che fa il cane Ma con quale intensità si può accarezzare un cane? Per insegnare a sviluppare un “tatto delicato” ci sono venuti in aiuto i “giochi di Kim”, giochi educativi, (tratti dal libro “Kim” di Rudyard Kipling, in cui il protagonista sperimentava questi giochi), atti a sviluppare i cinque sensi. Il “Kim-Tatto” viene realizzato mettendo in tre diversi sacchetti di carta degli oggetti differenti: 1° un po’ di zucchero; 2° una pallina, un collare; 3° delle ciocche di pelo di cane; I bambini dovevano infilare la mano nei sacchetti e senza guardare, In Foto il gioco del Kim-Tatto ma utilizzando il senso del tatto, dovevano cercare di capire il contenuto degli stessi. Questo gioco serve ad esercitare un tatto più controllato e più consapevole necessario per una migliore interazione bambino-animale. A questo punto i bambini erano pronti a conoscere l’animale; ogni bambino doveva mettere in pratica ciò che aveva appreso riguardo al corretto approccio. I bambini che lo volevano, potevano offrire un bocconcino al cane per facilitare l’interazione. Nella quarta lezione sono state ripassate le prime due regole per evitare incidenti con i cani e ne sono state introdotte altre due, cioè la terza “non entrare in un cancello dove c’è un cane senza che il padrone sia presente, né infilare una mano tra le sbarre, anche se conosciamo il cane”, e la quarta “fare attenzione quando il cane mangia o gioca con qualcosa a cui tiene molto”. Per capire queste regole, che altrimenti potrebbero rimanere senza significato, per il bambino è necessario che alle parole seguano anche i fatti: solo simulando l’azione concretamente si realizza il pensiero; a questo scopo abbiamo simulato la regola n.3: ogni bambino doveva passare davanti a un finto cancello, dietro al quale il cane stava sdraiato; tale situazione simulata, il bambino può incontrarla nella realtà, ogni giorno quando esce di casa. Il gioco consisteva perciò nel passare davanti al cancello, resistendo alla tentazione di toccare il cane attraverso le sbarre . In foto: Valentino dietro al finto cancellino e i bambini che passano davanti Per meglio imprimere la regola 4, abbiamo dato al cane un osso da mordicchiare e tutti i bambini dovevano osservare la situazione senza cercare di toccare l’animale e rimanendo in silenzio. La lezione si concludeva con una “passeggiata con il cane al guinzaglio”; tale percorso veniva effettuato da due bambini che conducevano all’interno dell’aula il cane al guinzaglio, sempre sotto la sorveglianza di conduttori e volontari. In foto: due bambini portano al guinzaglio Valentino Durante il quinto incontro, dopo un ripasso veloce delle regole finora imparate, ne sono state spiegate altre due nuove, la quinta, “non disturbare il cane mentre sta dormendo” e la sesta, “non guardare negli occhi un cane che abbaia verso di noi, non scappare se un cane ci insegue, non muovere le braccia, ed è meglio rimanere immobili”. Per introdurci alla spiegazione della regola n.5 abbiamo fatto il gioco di “Kim”, ma questa volta quello specifico alla stimolazione dell’udito; venivano prodotti dei suoni attraverso alcuni strumenti musicali, come ad esempio il tamburello e il triangolo, che variavano spesso d’intensità e non provenivano da un unico punto, ma si muovevano nella stanza. I bambini dovevano perciò muoversi ad occhi chiusi verso la sorgente del suono, orientandosi solo con l’aiuto dell’udito; la simulazione serviva per spiegare loro che il cane ha un udito molto più sviluppato del nostro. Con il cane è stato invece effettuato un altro gioco con l’obiettivo di abituare i bambini a non guardare negli occhi i cani, e anche per stabilire un contatto fisico tra bambino e cane. Ai bambini veniva chiesto di disporsi nella stanza in piedi ed in ordine sparso, rimanendo immobili, mentre il conduttore passava vicino a loro con il suo cane e faceva in modo che l’animale li accarezzasse col corpo, ma questo solo se i bambini evitavano di guardare il cane negli occhi. Per concludere è stato realizzato un piccolo percorso, con cerchi e aste tenuti dai bambini. Durante la sesta lezione sono state illustrate ai bambini altre due regole, la settima, “non disturbare una femmina in compagnia dei suoi cuccioli” e l’ottava, “toccare con molta attenzione un animale (cane) che ha avuto un incidente”. Abbiamo voluto concludere la comunicazione del cane spiegando la funzione della coda; sono state create insieme ai bambini le code di stoffa e le hanno indossate con le orecchie costruite nel precedente incontro. I bambini adesso si dovevano sentire dei cagnolini veri, così sono stati stimolati a farci vedere come posizionavano le loro orecchie e la loro coda; queste posture variavano a seconda dello stato emotivo in cui si trovava un ipotetico cane che loro impersonavano: poteva essere arrabbiato, o avere paura oppure essere felice. Infine è stato fatto entrare il cane in classe, ed abbiamo proposto ai bambini un nuovo gioco: “1, 2, 3, Lupo”, una versione rivista di “1, 2, 3, Stella”: il conduttore e il cane si posizionavano di spalle ai bambini e mentre il conduttore pronunciava “1, 2, 3, Lupo”, i bambini dovevano avanzare verso di lui; finito di pronunciare questa frase, cane e conduttore si voltavano e i bambini dovevano rimanere fermi sul posto che avevano raggiunto; il cane partecipava perciò in prima persona al gioco e insieme al conduttore poteva muoversi tra i bambini che rimanevano immobili; la funzione di tale gioco era anche sottolineare che in presenza di un cane non si corre, e se lui si avvicina è meglio rimanere immobili. L’incontro si concludeva ripetendo il corretto approccio al cane, perché è importante l’eseguire più volte una certa azione al fine di riproporla spontaneamente. In foto: un bambino prova l’avvicinamento a Gea Nel settimo incontro sono state spiegate le ultime due regole: “ fare attenzione quando si gioca con un cane che non è nostro perché possiamo non conoscere le sue reazioni”, e “non abbracciare un cane che non conosciamo e che non siamo sicuri di come potrebbe reagire”. In questa fase i bambini fingevano di essere dei cani dimostrando le diverse reazioni a seconda della persona che si avvicinava a loro, ringhiando o indietreggiando per la paura se l’approccio era scorretto, oppure scodinzolando se l’approccio era corretto. L’ultima lezione, prima della manifestazione conclusiva, abbiamo presentato ai bambini la “carta d’identità del cane”. Abbiamo spiegato loro che ogni cane è un individuo, quindi diverso dagli altri che possiede un albero genealogico e che ha un microchip identificativo. La lezione si è concentrata poi sulla cura del cane e sul gioco; riguardo alla prima attività, sono stati fatti vedere ai bambini gli oggetti personali del cane, come ad esempio la ciotola, le spazzole per pettinarlo, il collare e la pettorina, la coperta per dormire. È stato mostrato loro come si gioca con un cane, dando poi l’opportunità ad ogni bambino di poter a sua volta giocare con l’animale, ad esempio tirandogli la pallina e facendosela riportare. Per concludere, abbiamo fatto provare, per l’ultima volta, l’approccio al cane, con la differenza, rispetto alle volte precedenti, che il cane rimaneva sdraiato nella stanza vuota e il bambino gli si doveva avvicinare da solo, senza l’aiuto del conduttore, mettendo in atto autonomamente il giusto modo di avvicinarsi all’animale e di toccarlo. In foto: una bambina prova da sola l’approccio a Gea Il percorso formativo si è concluso con la manifestazione finale, alla quale hanno partecipato i bambini con i genitori, le maestre e tutte le persone coinvolte in questo progetto. I genitori sono stati coinvolti nella coreografia della “canzone dei Cagnolini” ed è stato loro mostrato un video con i momenti in classe che più riassumevano questa bella esperienza, vale a dire con i loro bambini nelle diverse situazioni di gioco e di coinvolgimento con i cani e con i conduttori. I bambini, in seguito, insieme ai conduttori e ai volontari, hanno partecipato a diversi giochi con e senza i cani, tra i quali hanno anche effettuato un percorso ad ostacoli in cui conducevano direttamente loro Gea.. In foto: Manifestazione finale; percorso ad ostacoli con Gea Va ricordato che i bambini, oltre alle attività che abbiamo proposto noi durante gli incontri, sono stati stimolati dalle maestre a realizzare disegni sia prima del progetto che a conclusione di questo. Al termine del progetto e dopo la manifestazione conclusiva, a ciascun genitore sono stati consegnati due questionari: uno da compilare con i giudizi che i bambini davano a questa esperienza e l’altro invece con quelli dei genitori. Il questionario dei bambini necessitava di una compilazione aiutata dal genitore, il quale leggeva la domanda mentre il bambino rispondeva; se avessimo avuto a che fare con bambini più grandi in grado di leggere e scrivere da soli, l’aiuto del genitore lo si sarebbe evitato. Il questionario dei bambini si componeva di 6 domande a risposta chiusa, necessarie per capire se a loro, diretti interessati, le lezioni erano piaciute, se si erano divertiti e se A B In foto: i disegni sul cane realizzati da uno stesso bambino; il disegno “A” è stato realizzato prima del progetto, mentre il “B” al termine dello stesso. Da notare che nel disegno A si ha un solo soggetto rappresentato, mentre nel B i soggetti sono due, il cane Gea e il bambino che si rappresenta mentre prova l’avvicinamento. avevano avuto paura, e in quale grado. Quello dei genitori invece si componeva sia di domande a risposta secca, Si o No, sia di domande che prevedevano una risposta aperta, in modo da lasciare più liberi i genitori di esprimere le proprie opinioni; tali domande servivano a capire se il bambino anche a casa aveva parlato di questa esperienza e in quale modo; se si era notato un cambiamento di atteggiamento verso animali e persone e in che termini; infine si chiedeva che il genitore esprimesse un suo giudizio su tale progetto ed eventuali suggerimenti per migliorarlo. Questo era il questionario che riguardava i bambini: Segnare con una crocetta la casella corrispondente al giudizio espresso dai bambini 1. Ti sono piaciute le lezioni sui cani? 1 NO 2 Poco 3 Abbastanza 4 Molto 5 Moltissimo 2. Le persone che sono venute ad insegnarti sono state gentili nei tuoi confronti? 1 NO 2 Poco 3 Abbastanza 4 Molto 5 Moltissimo 3. Hai imparato cose nuove? 1 NO 2 Poco 3 Abbastanza 4 Molto 5 Moltissimo 4. Le lezioni erano interessanti? 1 NO 2 Poco 3 Abbastanza 4 Molto 5 Moltissimo 5. Hai avuto paura? 1 NO 2 Poco 3 Abbastanza 4 Molto 5 Moltissimo 6. Ti sei divertito? 1 NO 2 Poco 3 Abbastanza 4 Molto 5 Moltissimo Questo invece era il questionario rivolto ai genitori: 1- Il/la bambino/a ha parlato in famiglia di quanto si è svolto all’interno del progetto? 1a- Se sì, in che termini? (es. interesse, gioia, paura, ecc.) 2- Durante l’anno scolastico ha notato un cambiamento del/la bambino/a in relazione agli animali? 2a- Se sì, di che tipo? (es. aumentato o diminuito timore, accresciuto l’interesse, approccio differente, ecc.) 2b- Secondo lei questo cambiamento è imputabile al progetto? 3- Durante l’anno scolastico ha notato una modifica di comportamento del/la bambino/a nei confronti degli altri bambini o delle persone che sono “diverse da lui/lei”? 3a- Se sì, di che tipo? (es. maggiore o minore diffidenza, differente modalità di approccio o di relazione, ecc.) 3b- Secondo lei questo cambiamento è imputabile anche al progetto? 4- Come giudica complessivamente il percorso svolto? 5- Come, a suo avviso, potrebbe migliorare? CAPITOLO 4° RISULTATI QUESTIONARIO DEI BAMBINI Dai 33 questionari totali riconsegnati, questi sono i risultati ottenuti in base alle risposte date dai bambini alle sei domande a risposta chiusa. Domanda N.1 “Ti sono piaciute le lezioni?” Moltissimo 70% Molto 30% Domanda N.2 “Le persone che sono venute ad insegnarti sono state gentili con te?” Molto 36% Moltissimo 64% Domanda N.3 “Hai imparato cose nuove?” Moltissimo 36% Molto 46% Abbastanz a 18% Domanda N.4 “Le lezioni erano interessanti?” Moltissimo 58% Poco 3% Molto 33% Abbastanza 6% Domanda N.5 “Hai avuto paura?” Poco 15% No 82% Moltissimo 3% Domanda N.6 “Ti sei divertito?” Moltissimo 76% Molto 15% Abbastanza 6% Poco 3% QUESTIONARIO DEI GENITORI Di seguito sono riportati i risultati delle domande a risposta chiusa; per le domande invece a risposta aperta, le risposte date dai genitori sono state raggruppate e riportate nelle tabelle n° 1a, 2a, 3a, 4 e 5 . Domanda N.1 “Il/la bambino/a ha parlato in famiglia di quanto si è svolto all’interno del progetto? SI 100% Domanda N.1a “Se Sì, in che termini? (es. interesse, gioia, paura) ° interesse o molto interesse 45% ° gioia, felicità e contentezza 30% ° divertimento 11% ° curiosità 6% ° entusiasmo 6% ° paura 2% Domanda N.2 “Durante l’anno scolastico ha notato un cambiamento del/la bambino/a in relazione agli animali?” SI 73% NO 27% Domanda N.2a “Se Sì, di che tipo? (aumentato o diminuito timore, accresciuto interesse, approccio differente,…)” accresciuto l’interesse 43% diminuito il timore 25% approccio differente 21% gioca di più col proprio cane 7% ha iniziato a chiedere un cucciolo 4 % Domanda N.2b “Secondo lei questo cambiamento è imputabile al progetto?” Distinguiamo tra chi ha risposto Si alla domanda n.2 e chi invece ha risposto No Chi ha risposto Si alla domanda 2, ha riportato: SI 96% FORSE 4% Chi invece ha risposto No alla domanda 2, ha riportato: NO 22% Non risponde 78% Questo per sottolineare che ci sono alcuni genitori che non hanno notato un cambiamento nel comportamento dei propri figli, ma non imputano ciò al progetto. Domanda N.3 “Durante l’anno scolastico ha notato una modifica del comportamento del/la bambino/a nei confronti degli altri bambini o delle persone che sono diverse da lui/lei?” SI 38% NO 53% Non risponde 9% Domanda N.3a “Se Sì, di che tipo? (es. maggiore o minore diffidenza, differente modalità d’approccio o di relazione” diverso approccio 50% minore diffidenza 25% maggiore voglia di conoscere e di osservare 25% Domanda N.3b “Secondo lei questo cambiamento è imputabile anche al progetto?” Distinguiamo tra chi ha risposto Sì alla domanda 3 e chi invece ha risposto No. Chi ha risposto Sì alla domanda 3, ha riportato: SI 92% FORSE 8% Chi invece ha risposto No alla domanda 3, ha riportato: NO 76% Non risponde 24% Questo per dimostrare che la maggioranza dei genitori crede che il non verificarsi di un cambiamento nel comportamento dei loro figli verso altri bambini o verso persone “diverse”, non sia comunque da imputare al progetto. Domanda N.4 “Come giudica complessivamente il percorso svolto?” Buono o molto buono 32% Interessante o molto interessante 22% Educativo, costruttivo, istruttivo 20% Ottimo 12% Positivo 7% Utilissimo 7% Domanda N.5 “Come, a suo avviso, potrebbe migliorare?” Va già bene così 40% Non risponde 33% Maggior numero di incontri 15% Non saprei 6% Potrebbe migliorare 3% Continuando alle elementari 3% CAPITOLO 5° DISCUSSIONI Questo progetto di zooantropologia didattica è stato realizzato con bambini di un’età compresa fra i 4 e i 5 anni, con i quali abbiamo verificato che il metodo dell’imparare-giocando ha funzionato pienamente. Una delle principali caratteristiche di tali incontri è stata appunto quella “dell’imparare giocando” dove il gioco si è reso necessario ed insostituibile, perché in bambini nell’età infantile che va dai 2 ai 7 anni, il gioco è l’esercizio funzionale che agisce sull’apprendimento, rafforzandolo ( Piaget, 1964). I bambini in tali incontri non sono stati soggetti passivi, ai quali raccontare delle semplici nozioni, ma si è cercato di coinvolgerli direttamente in varie attività anche manuali (es. costruzione delle orecchie), nell’osservazione e nella descrizione di varie rappresentazioni, nel dare pareri e nell’approcciarsi fisicamente ai cani. Questo perché il bambino opera “logicamente” attraverso rappresentazioni che lui ha osservando, toccando e manipolando; risulta chiaro che la sensomotricità è necessaria ed indispensabile a sviluppare le conoscenze in questa età infantile (De Bartolomeis, 1968). Le lezioni si sono rivelate estremamente dinamiche: si è potuto realizzare in ogni singolo incontro più attività, grazie anche alla collaborazione di più figure professionali. Abbiamo notato tra i due gruppi, quello dei bambini di 4 anni e quello dei 5, una differenza dovuta evidentemente alla loro età: il gruppo dei bambini più grandi infatti si è dimostrato sempre più calmo, più collaborativo e più interessato a ciò che veniva proposto; ma la differenza possiamo dire essere stata solo di forma, perché in sostanza entrambi i gruppi si sono dimostrati molto recettivi a cosa veniva loro presentato e i progressi, come ad esempio quelli nell’approcciarsi al cane, si sono avuti in egual misura per ambedue i gruppi. All’inizio del progetto i bambini non conoscevano il modo con il quale il cane comunica e non avevano nessuna cognizione rispetto al significato del suo scodinzolio; alla fine del percorso, non solo erano state acquisite tali conoscenze, ma si era sviluppato in loro un interesse anche per l’osservazione di posture e di atteggiamenti del cane. Ad ogni incontro abbiamo verificato, attraverso delle domande, se i bambini ricordavano bene le precedenti regole spiegate e se avevano acquisito perfettamente tutti i passi da compiere per effettuare un corretto approccio al cane. È stato interessante notare anche come i cani abbiano lavorato con questi bambini: Valentino si è dimostrato preparato sul piano dell’interazione con i bambini, riuscendo a controllare lo stress derivante dalla situazione; per ogni singola azione da compiere cercava la conferma dal proprio conduttore e la calma caratterizzava il suo comportamento. Gea invece mostrava molto entusiasmo nei confronti dei bambini, riusciva ad entrare meglio in empatia con loro, cercando fin da subito un contatto ed avendo un atteggiamento più vivace rispetto a Valentino. Entrambi i cani si sono mostrati sconcertati ed innervositi quando i bambini si sono posizionati a semicerchio intorno a loro e indossando le orecchie finte. Al momento, però, che facevamo togliere le orecchie ai bambini, i cani uscivano da questa temporanea situazione di disorientamento, ritornando ad avere una condotta tranquilla. Il cane in classe si è rivelato un perfetto moderatore: infatti nel caso di bambini troppo agitati l’entrata del cane aveva un effetto calmante; al contrario i soggetti più timidi venivano invece stimolati a interagire sia verbalmente che fisicamente. C’è stato il caso di una bambina, nel gruppo dei 4 anni, non molto collaborativa che quando si trattava di partecipare ai giochi con i propri compagni, si limitava ad osservare; al momento in cui l’interazione era da svolgersi con l’animale, diventava più partecipe e non mostrava nessuna paura o ritrosia verso l’animale, apprezzando tale relazione. Il cane riusciva a metterla a suo agio e a coinvolgerla di più; questo è riconducibile al fatto che la relazione con un cane, che in quanto tale non giudica come un fa invece un uomo, permette al bambino/a una relazione più sincera e libera, e perciò più fruttuosa. Un altro caso significativo è stato quello di un bambino di 5 anni morso in passato da un cane; appena Valentino è entrato per la prima volta nella classe il bambino evitava il contatto col cane se per caso questo gli si avvicinava. Con l’avanzare del progetto, il bambino a ogni lezione si è dimostrato via via meno timoroso e addirittura, le ultime volte in cui doveva effettuare l’approccio al cane non temeva più l’interazione. Questi eventi dimostrano l’importanza di realizzare tali percorsi di zooantropologia condotti con l’ausilio dei cani, fin dalle scuole materne, poiché i bambini hanno un atteggiamento positivo verso questi animali; inoltre, non sembra che esistano differenze tra maschi e femmine o tra bambini morsi e bambini no nell’approcciarsi col cane e alla fine i risultati raggiunti nella relazione bambino-cane, sono simili (Lakestani et al ,2010). L’alternanza di due cani diversi durante il progetto ha fatto si che gli alunni non si abituassero ad interagire sempre con lo stesso cane, questo per evitare che la relazione non s’identificasse con quel cane particolare, ma che venisse più facilmente generalizzata anche a cani sconosciuti e di aspetto diverso. La dimostrazione di quanto sia stato positivo tale progetto la si ha da queste osservazioni e da questi miglioramenti nella comunicazione bambino-cane, ma la si può anche statisticamente rilevare dai risultati emersi dallo studio dei questionari consegnati ai genitori e ai piccoli studenti. Se ci soffermiamo sui dati ricavati dai questionari compilati dai bambini si può evincere che tale esperienza abbia ricevuto dei giudizi molto positivi: alla totalità dei partecipanti le lezioni sono piaciute molto o moltissimo; da queste lezioni i bambini dicono di aver imparato moltissime o molte nozioni nuove per l’82% di loro, mentre per il restante 18% sono state abbastanza; nel complesso, il 100% di bambini dichiara di aver imparato comunque qualcosa di nuovo. Il 91% degli alunni sostiene che le lezioni sono state “moltissimo o molto” interessanti. La domanda “5” ha rilevato che solamente il 3% dei bambini ha avuto moltissima paura mentre l’82% era perfettamente a suo agio. Possiamo affermare che la paura di alcuni bambini non ha comunque modificato il rendimento delle lezioni e neanche il loro giudizio sulle stesse. Altro aspetto da sottolineare è quello il divertimento dichiarato per il 91% di loro a dimostrazione che il metodo dell’imparare-giocando è stata una strategia vincente. Oltre ai giudizi forniti dai diretti interessati abbiamo potuto raccogliere le opinioni dei genitori. Il 100% afferma che i bambini hanno parlato a casa di questo progetto; se chiediamo in che termini i loro figli ne abbiano parlato, il 98% riporta commenti positivi come: con interesse, con gioia, con divertimento mentre solo un 2% dichiara che il bambino ne ha parlato con paura. Abbiamo poi chiesto ai genitori se avessero notato dei cambiamenti nel comportamento dei loro figli riguardo agli animali: è risultato che ben il 73% dei genitori ha visto tale cambiamento e nello specifico, sostiene che l’approccio del bambino è cambiato ed è diminuito il timore accrescendo invece l’interesse verso gli animali. Interessante il fatto che alcuni genitori, per la precisione il 7%, riportino che il proprio figlio abbia iniziato a “considerare di più il cane che già viveva in casa”, magari giocandoci più spesso di prima; un 4% dei genitori invece dice che il bambino ha espresso il desiderio di avere un cucciolo dopo tale esperienza. Abbiamo successivamente chiesto se i genitori avessero notato un cambiamento nel comportamento del figlio, ma stavolta nei confronti di altri simili o di persone “diverse da lui”: per il 53% dei genitori non c’è stato nessun cambiamento nei confronti di altri bambini o persone; un 38% invece ha constatato una modifica nel comportamento.. Il 50% di questi dichiara che tale cambiamento si è tradotto in un diverso approccio del bambino nella relazione con i compagni e con altre persone; un 25% invece sottolinea una minore diffidenza verso il prossimo; interessante la valutazione dell’altro 25% dei genitori che ha notato nel proprio figlio una maggiore voglia di conoscenza ed una maggiore abilità nell’osservazione. Il 92% di coloro che assistono a una modificazione nel relazionarsi del proprio figlio con altre persone, crede che ciò sia anche dovuto a questa esperienza. Il giudizio complessivo dato dai genitori a tale progetto è più che soddisfacente: un 7% lo ha giudicato positivo, un secondo 7% lo ha considerato utilissimo, mentre un 12% lo ha ritenuto ottimo, un 20% educativo ed istruttivo, un 22% interessante o molto interessante e un 32% buono o molto buono. Il questionario dei genitori si è concluso con la richiesta di esprimere un suggerimento per migliorare questa iniziativa; il 40% dei genitori ha ritenuto che il percorso andasse bene così com’è, mentre un 30% non ha risposto; un 15% dei genitori ha invece sottolineato che si potrebbe migliorare il progetto aumentando la durata del percorso; un ultimo 3% invece spera che tale iniziativa possa proseguire anche nelle successive scuole elementari per rendere continuativa l’interazione bambino-animale e consolidarla nel tempo, anche per offrire tale opportunità anche a coloro che non possiedono animali a casa . CAPITOLO 6° CONCLUSIONE Gli obiettivi che si prefiggeva questo progetto di zooantropologia didattica attuato nella scuola materna, possiamo dire che sono stati tutti raggiunti. I bambini hanno appreso come il cane comunica, e quale sia il corretto approccio; hanno imparato le 10 regole fondamentali per evitare possibili incidenti tra bambino e cane. Tutto questo è stato realizzato in bambini in età prescolare, molto recettivi e disposti ad apprendere, se coinvolti nel modo giusto, cioè con giochi semplici ma molto importanti al fine dell’apprendimento. Con questo progetto abbiamo verificato che si è sviluppato un nuovo interesse, forse più consapevole, nel bambino nei confronti degli animali e del cane in particolare, anche in quei soggetti che già possedevano uno o più cani a casa, ma che consideravano poco non sapendo quanto potesse essere divertente stabilire una relazione con loro. Una piccola percentuale ha migliorato anche il modo di rapportarsi con il “diverso”, mostrando una nuova attenzione verso le alterità. La diversità, anche animale viene così apprezzata come risorsa e non come ostacolo, favorendo un nuovo processo di conoscenza. Il bambino, dalla relazione con l’animale, ne ricava direttamente uno sviluppo formativo migliore, aumentando il desiderio di conoscenza e di comunicazione, diminuendo la diffidenza verso il diverso, animale o uomo che sia; in tal modo il bambino accresce la propria autostima e sviluppa anche un autocontrollo migliore; riesce a prendere decisioni in modo più veloce, anticipando anche gli eventi che ne conseguono (Montagner, 1995). Inoltre tali progetti permettono una prevenzione dell’insorgenza di zoofobie o zoointolleranze, che potrebbero portare anche ad incidenti tra bambinoanimale; tutto ciò si evita semplicemente con una corretta conoscenza del modo di comunicare dell’animale, del suo comportamento e della sua gestione (Montagner, 1995). Il bambino introverso o timido ricava benefici anche psicologici dalla relazione che instaura con un cane: riesce infatti ad aprirsi di più agli altri esprimendo grazie al rapporto col cane, quello che è il suo mondo interiore; bambini invece più impazienti e aggressivi diventano l’opposto se hanno l’opportunità di interagire con gli animali (Montagner, 1995). Condoret, medico veterinario francese, ha sempre sostenuto l’importanza della presenza del cane nella scuola soprattutto nella materna, per la sua importanza nella formazione e nell’aiutare il bambino a svelare le sue capacità emozionali, affettive e relazionali. Ad oggi questi percorsi non sono ancora capillarmente diffusi anche se risulta oltremodo importante attuarli fin dalle scuole materne; i bambini in questa particolare fascia d’età che va dai 3-4 ai 5 anni, dovranno essere coinvolti anche attraverso il gioco, fondamentale nella prima infanzia perché funzionale all’apprendimento (Piaget, 1964).

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