- Insufficienza Renale Cronica (IRC) Con il termine insufficienza renale si intende una sindrome clinica che si verifica quando i reni non sono più in grado di mantenere le loro funzioni regolatorie, escretorie ed endocrine, originando così una ritenzione di soluti azotati ed un’alterazione dell’equilibrio fluido, elettrolitico ed acido-basico. Tale disfunzione si rende manifesta quando più del 75% dei nefroni non è funzionante. (1) L’insufficienza renale può essere acuta (IRA) o cronica (IRC). La prima è caratterizzata da un’insorgenza improvvisa ed è, a sua volta, classificabile in prerenale (funzionale, da deficit emodinamico), renale parenchimale intrinseca (organica, da danno glomerulare, tubulare, interstiziale o vascolare) e postrenale (da ostruzione o da deviazione del flusso di urina) secondo l’origine funzionale, l’estensione e la durata della condizione che ha determinato la sindrome. L’IRA è potenzialmente reversibile, se diagnosticata precocemente dopo l’insorgenza e se il paziente è aiutato mentre la lesione si ripara. Al contrario, il ritardo o la mancanza di un’adeguata terapia possono determinare danni renali irreversibili e, addirittura, la morte del soggetto. (2) Si definisce insufficienza renale cronica (IRC o CRF – Chronic Renal Failure – o CKD – Chronic Kidney Disease) un’insufficienza renale primaria che persiste per un periodo prolungato, in genere mesi o anni, e che, indipendentemente dalla causa(e) della perdita dei nefroni, è caratterizzata dalla irreversibilità delle lesioni strutturali del rene: stabilitasi la malattia di base a carico di una o più strutture del nefrone (glomerulo, tubulo, interstizio, componente vascolare), le funzioni del rene vanno progressivamente deteriorandosi in un processo di autoperpetuazione che conduce inevitabilmente all’uremia terminale (Stadio IV). Pertanto, nei pazienti affetti da IRC, una volta corretta la patologia primaria reversibile e/o le componenti pre o postrenali della disfunzione, non ci si dovrebbe attendere un ulteriore miglioramento della funzionalità renale, dato che i meccanismi compensatori ed adattativi (seppur notevoli) messi in atto per sostenerla, hanno già probabilmente raggiunto la loro massima capacità. Nonostante la progno 11 caratterizzata, le conseguenze cliniche e biochimiche della ridotta funzionalità renale possono essere minimizzate da una terapia sintomatica e di supporto in grado di rallentare la progressione dell’IRC, permettendo, così, al paziente di sopravvivere per mesi o anni conservando una buona qualità di vita. (3) L’uremia è una sindrome tossica polisistemica originata da alterazioni multiple, sia fisiologiche che metaboliche, derivanti dall’insufficienza renale (3); tuttavia, non tutti i pazienti con insufficienza renale sono uremici. Da un punto di vista pratico, questa distinzione acquista particolare importanza poiché, se nell’IRC è possibile attuare con successo una terapia medico-conservativa, nell’uremia l’unico trattamento praticabile è quello sostitutivo dell’emodialisi o del trapianto renale. (4) 1.1 Eziopatogenesi L’origine dell’IRC può essere congenita oppure familiare, da sospettare sulla base della razza, dell’anamnesi familiare e dell’età, od acquisita, secondaria, cioè, a qualsiasi processo patologico che danneggi i glomeruli, i tubuli, l’interstizio o la vascolarizzazione dell’organo e che, inevitabilmente, esita nella distruzione dell’intero nefrone, poi rimpiazzato da tessuto cicatriziale. (5) (6) Tra le potenziali cause di insufficienza renale cronica ricordiamo: – Disturbi immunitari: Lupus Eritematoso Sistemico (LES), glomerulonefriti, vasculiti (es. FIP); – Amiloidosi; – Neoplasie: primitive (linfosarcoma renale) o metastatiche; – Sostanze nefrotossiche (es. glicol etilenico): esposizione cronica; – Ischemia renale; – Processi infiammatori: infettivi (leptospirosi, FIV), pielonefriti, calcoli renali; – Ostruzione al regolare deflusso dell’urina; – Forme idiopatiche: amiloidosi idiopatica del gatto abissino (sindrome nefrosica); – Disturbi ereditari e congeniti: ipoplasia/displasia renale (cane boxer), rene policistico (gatto persiano), nefropatie legate alla razza. (4) (7) Stabilire l’esatta eziologia dell’IRC si rivela, tuttavia, un compito arduo se non, come avviene nella maggior parte dei casi, impossibile in ragione della stessa natura progressiva della malattia dato che, essendo i vari componenti del nefrone 12 strutturalmente e funzionalmente interdipendenti, il punto d’arrivo di un danno glomerulare, tubulare, interstiziale o vascolare è sempre lo stesso. Se, infatti, i cambiamenti strutturali e funzionali riscontrati nelle fasi precoci delle patologie renali progressive e generalizzate possono permettere l’identificazione delle cause specifiche e/o la localizzazione delle lesioni iniziali, con il tempo le modificazioni distruttive (atrofia, infiammazione, fibrosi, mineralizzazione) dei nefroni colpiti si sovrappongono agli adattamenti compensatori (ipertrofia ed iperplasia) dei nefroni vitali, così da fornire reperti macro e microscopici del tutto somiglianti ed affatto patognomoici. Di conseguenza, l’eziologia dell’IRC resta spesso sconosciuta e non identificabile neppure attraverso approfonditi esami di laboratorio, quali l’esame istologico condotto su biopsia renale. (6) (7) Dal punto di vista patogenetico, il concetto fondamentale consiste nel fatto che, una volta instauratosi il danno renale, a prescindere dalla sua causa scatenante e dalla sua primitiva localizzazione, ogni malattia renale progressiva ed irreversibile si risolve in una nefropatia cronica generalizzata. Quest’ultima può, a sua volta, acquisire un andamento lento e lineare, con aumento regolare dell’azotemia e senza che le conseguenze organiche si rendano clinicamente apprezzabili per mesi o per anni grazie ai meccanismi compensatori e adattativi messi in atto dal rene, oppure può evolvere per stadi, con repentino scompenso della funzione renale ed improvvisa crisi uremica. (8) 1.2 Fisiopatologia Le alterazioni e la perdita delle funzioni metaboliche, escretorie ed endocrine del rene insorgono come conseguenza di una riduzione dei nefroni funzionanti. Al progressivo diminuire di tale numero, si sviluppano adattamenti strutturali e funzionali secondo una sequenza regolare. Infatti, i nefroni superstiti, “sani”, vanno incontro ad un aumento di dimensioni (ipertrofia) e ad un accrescimento del proprio carico di lavoro (iperfiltrazione) per compensare le perdite via via verificatesi. Questo fenomeno viene indicato come teoria dell’iperfiltrazione. Tuttavia, l’aumento cronico della pressione capillare glomerulare e/o della velocità di flusso plasmatico glomerulare danneggiano l’endotelio, il mesangio e l’epitelio tubulare fino a provocare la sclerosi dei nefroni. La continua connettivizzazione e distruzione di 13 questi ultimi produce un’ulteriore compensazione, promuovendo, così, un ciclo di adattamento e successive lesioni che va autoperpetuandosi. La progressione dell’IRC è stata descritta utilizzando un’articolazione in 4 stadi i quali non sono nettamente demarcati ma, piuttosto, rappresentano le fasi di un processo degenerativo continuo con perdita di una quota sempre maggiore di nefroni funzionanti. I. Diminuzione della riserva renale: un aumento rilevabile dell’azotemia presuppone la perdita di almeno il 60-70% della normale funzione renale; in questo stadio, infatti, il paziente non manifesta alcun segno clinico, se non una leggera diminuzione della capacità di concentrare l’urina. Si parla anche di fase stabile o stazionaria dell’IRC nella quale l’ampia riserva renale riesce ancora a compensare il deficit nefronale che ha già preso avvio. II. Deficit renale: comporta una perdita fino al 75% dei nefroni con una lieve iperazotemia e con mancata capacità di concentrazione dell’urina; anche in questa fase il soggetto può mantenersi asintomatico se non verificano stress metabolici (imponenti modificazioni dell’assunzione di fluidi, proteine ed elettroliti) che superino le possibilità compensatorie dell’organismo. III. Insufficienza renale: la perdita dei nefroni può raggiungere il 90%; si riscontrano iperazotemia, da moderata a grave, anemia, ridotta capacità di concentrazione dell’urina e alterazioni dell’equilibrio idro-elettrolitico e acido-basico. IV. Uremia o sindrome uremica: la funzionalità renale risulta, ormai, del tutto compromessa come testimoniato dalla severa iperazotemia e dalla costellazione dei seg 14 riscontrano sintomi, soprattutto, a carico dell’apparato urinario (poliuria/polidipsia) e gastrointestinale (anoressia, vomito), nell’uremia si ha, generalmente, l’associazione di più sintomi con un aggravamento notevole, fino al coma e alla morte del soggetto. (4) 1.3.1 Apparato urinario Tra le manifestazioni cliniche precoci dell’insufficienza renale cronica troviamo l’insorgenza di poliuria obbligatoria e di polidipsia compensatoria derivate dalla ridotta capacità di concentrazione e di diluizione delle urine. A tale fenomeno si attribuisce un’origine multifattoriale. – Distruzione dell’architettura della midollare direttamente provocata dalla patologia renale. L’alterazione del sistema di moltiplicazione controcorrente ostacola il mantenimento dell’ipertonicità interstiziale midollare, indispensabile per il riassorbimento di acqua dall’ultrafiltrato e, quindi, per la concentrazione delle urine. – Diuresi dei soluti (teoria del nefrone intatto). Con il declinare della funzionalità renale, la risposta escretoria di ciascun nefrone superstite deve aumentare in proporzione inversa rispetto al numero dei nefroni rimasti. In tal modo la stessa quantità di soluti viene eliminata da un numero decrescente di nefroni ancora funzionanti all’interno dei quali si registra, dunque, un aumento dell’osmolarità che, unitamente alla disarchitettura della midollare, riduce il recupero di acqua da parte dell’interstizio e, quindi, dei vasi retti. – Perdita della risposta renale all’ADH (ormone antidiuretico o vasopressina) dovuta, sostanzialmente, all’incremento del flusso nel tubulo distale che limita la possibilità di equilibrio del fluido tubulare con l’interstizio ipertonico. Inoltre, nell’uremia, possono aversi un’alterazione dell’attività dell’adenil-ciclasi, stimolata dall’ADH, e della permeabilità all’acqua del nefrone distale. In caso di poliuria, la polidipsia insorge come fenomeno compensatorio; tuttavia, se l’assunzione di liquidi non riesce ad equiparare le perdite di fluidi urinarie, il paziente va incontro a disidratazione anche grave, a causa della sua incapacità di conservare l’acqua in maniera appropriata tramite la concentrazione dell’urina.(3) 15 Un altro sintomo assai frequente nei soggetti con IRC è la nicturia, cioè l’aumento della diuresi nella posizione orizzontale la quale, migliorando la perfusione ematica dei reni, contribuisce ad incrementare la produzione e la successiva eliminazione di urina.(4) 1.3.2 Apparato gastroenterico Sintomi gastrointestinali precoci ed aspecifici che comunemente si riscontrano nei pazienti affetti da IRC sono l’anoressia e la conseguente perdita di peso associata ad episodi di vomito. L’origine dell’anoressia è multifattoriale ed imputabile a: – eccessiva assunzione di liquidi per la polidpsia; – ipopotassiemia; – acidosi metabolica; – anemia non rigenerativa; – iperparatormonemia; – ritenzione di cataboliti come la guanidina; – gastrite uremica, il cui meccanismo patogenetico appare controverso, sebbene principalmente legato alla ipergastrinemia. Poiché oltre il 40% della gastrina circolante è metabolizzata dai reni, una ridotta funzionalità renale può determinare ipergastrinemia, a sua volta, responsabile di una stimolazione cronica alla produzione di H+ da parte delle cellule parietali dello stomaco e, quindi, di iperacidità gastrica. Quest’ultima può provocare irritazione e ulcerazioni della mucosa, emorragie gastrointestinali nonché diffusione retrograda di pepsina e acido cloridrico nello stomaco, causa di degranulazione mastocitaria. S’instaura, così, un circolo vizioso in quanto l’istamina liberata dai mastociti della sottomucosa gastrica stimola ulteriormente la produzione di protoni da parte delle cellule parietali. Tuttavia, altri fattori sono implicati nella genesi della gastrite uremica, quali gli stress psicologici legati alla malattia, l’aumento della diffusione retrograda protonica causata dagli elevati livelli di urea, le erosioni della mucosa dovute all’ammoniaca liberata dall’ureasi batterica, l’ischemia conseguente alle lesioni vascolari, il diminuito turnover della mucosa gastrica ed il reflusso biliare da incompetenza pilorica. 16 La perdita di peso e la malnutrizione scaturiscono dall’anoressia, dalla nausea e dal vomito, dalla conseguente diminuzione di sostanze nutritive, dagli squilibri endocrinometabolici e dai fattori catabolici legati all’uremia, in particolare l’acidosi. Il vomito deriva dall’azione di una tossina uremica, non ancora identificata, sulla zona d’innesto chemiorecettoriale emetica midollare e dalla gastrite uremica; pertanto la gravità di questo sintomo è strettamente correlata con i livello di iperazotemia ed, essendo la gastropatia ulcerosa, può verificarsi ematemesi. Un segno abbastanza caratteristico degli stadi avanzati dell’IRC e/o dell’uremia è la stomatite uremica o caustica la quale si presenta con ulcerazioni orali (localizzate soprattutto sulla mucosa buccale e sulla lingua), necrosi ed escare della porzione linguale anteriore, colorazione brunastra della superficie dorsale della lingua ed alito urinoso. La patogenesi è riconducibile principalmente all’iperammoniemia risultante dalla scissione, da parte dei batteri ureasi-produttori, dell’urea che, non essendo escreta a sufficienza con le urine, viene eliminata attraverso le mucose (soprattutto quelle dell’apparato gastroenterico). Talvolta, il quadro della stomatite caustica può essere aggravato dalla presenza di xerostomia (secchezza delle mucose orali) e di tartaro. Infine, tra i sintomi dell’IRC a carico del sistema digerente, si segnalano l’enterocolite uremica con diarrea (meno frequente della corrispondente forma gastrica e rilevata soprattutto nel cane) e la costipazione (ricorrente nel gatto) per la disidratazione e/o per gli effetti degli agenti chelanti i fosfati impiegati nella terapia.(4) (5) 1.3.3 Sistema cardiopolmonare La più frequente alterazione cardiovascolare dell’insufficienza renale cronica è rappresentata dall’ipertensione arteriosa (PA> 170 mmHg) la cui patogenesi, tuttora poco nota, può essere attribuita alla combinazione di: ritenzione di sodio, espansione del volume extracellulare, aumento della vasocostrizione generata dall’attivazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone, incremento dei livelli di noradrenalina, diminuzione delle sostanze vasodilatatrici (PGs) di origine renale, aumento della gittata cardiaca e delle resistenze periferiche, iperparatiroidismo secondario.(4) Gli organi più colpiti sono: reni (glomerulosclerosi), cuore (ipertrofia ventricolare sinistra, ischemia cardiaca, exrtrasistoli), occhio (distacco retinico, ifema, emorragia della retina) ed encefalo (encefalopatia da ipertensione, demenza, emorragia cerebrovascolare).(6) Nonostante i sintomi riportati dai pazienti umani ipertesi (mal di testa, debolezza, 17 impossibilità all’esercizio fisico, nervosismo, disturbi del sonno…), nel cane e nel gatto l’ipertensione arteriosa è ancora considerata una condizione clinicamente silente, eccezion fatta per i casi di evidenti manifestazioni oculari e di rilevanti soffi cardiaci sistolici. (5) La complicanza cardiaca più comune dell’IRC è lo sviluppo di ipertrofia ventricolare sinistra (LVH: Left Ventricular Hypertrophy) derivante da un sovraccarico pressorio (dovuto all’ipertensione arteriosa e alla maggiore rigidità delle pareti arteriose) e di flusso (scaturito dall’eccesso di sali e di acqua e dall’anemia); tuttavia, si ritiene alquanto improbabile che una LVH indotta da una disfunzione renale possa evolvere in insufficienza cardiaca congestizia, se non in pazienti già cardiopatici. L’iperparatiroidismo secondario può, inoltre, influenzare la contrattilità e l’ipertrofia del miocardio e, talvolta, causare mineralizzazioni coronariche e miocardiche. Rara complicazione dell’insufficienza renale cronica è, invece, la pericardite uremica, il cui meccanismo patogenetico non è stato ancora accertato; sulla sua origine sono state, comunque, avanzate alcune ipotesi che chiamano in causa l’effetto diretto delle tossine uremiche, l’iperidratazione, la diminuita attività fibrinolitica del plasma e fattori immunomediati. Sia nell’uomo che nel cane, si riporta, infine, una rara polmonite uremica caratterizzata da edema polmonare non cardiogeno, presumibilmente dovuto al danneggiamento degli alveoli da parte delle tossine uremiche e al conseguente aumento della permeabilità capillare. I soggetti colpiti, all’esame clinico, mostrano disturbi respiratori e circolatori quali grave dispnea e cianosi.(3) 1.3.4 Sistema nervoso Nell’insufficienza renale avanzata e, soprattutto, nell’uremia, lo stato del sensorio può mantenersi normale oppure mostrarsi depresso con affaticamento e apatia. I segni neurologici, quali sonnolenza, letargia, tremori, barcollamenti, mioclonie, convulsioni, stupore e coma, spesso a carattere episodico, sono riconducibili all’encefalopatia uremica che ha una genesi multifattoriale.(4) – Effetti delle tossine uremiche. In particolare, la gravità delle manifestazioni cliniche sembra essere correlata, in maniera direttamente proporzionale, alla rapidità dell’instaurarsi dell’iperazotemia, piuttosto che alla sua entità.(3) 18 – Iperparatormonemia. Gli elevati livelli di PTH comportano un aumento del contenuto cerebrale di calcio e si ritengono, inoltre, responsabili di importanti alterazioni a carico delle pompe del calcio neuronali implicate nel rilascio di un neurotrasmettitore e, dunque, nel trasferimento dell’informazione ai nervi terminali.(3) (5) – Squilibri minerali ed elettrolitici (ipocalcemia, ipokaliemia) provocati dall’uremia. – Ipertensione arteriosa. Nell’uomo sono state descritte un’encefalopatia ipertensiva ed emorragie cerebrovascolari associate a grave ed improvviso incremento della pressione ematica; per un fenomeno di autoregolazione vascolare locale, possono registrarsi anche ischemie cerebrali. – Ritenzione di farmaci e tossine secondarie alla ridotta funzionalità renale.(3) 1.3.5 Apparato muscolare Gli squilibri del potassio connessi all’insufficienza renale cronica sono alla base della polimiopatia ipopotassiemica, occasionalmente riscontrata nel gatto. La diminuita concentrazione ematica di potassio, infatti, aumenta il valore del potenziale di membrana a riposo determinando, quindi, l’iperpolarizzazione della membrana cellulare che diventa meno sensibile agli stimoli eccitativi. La polimiopatia ipokaliemica si manifesta con debolezza muscolare generalizzata, con la tipica ventroflessione cervicale e con andatura rigida.(5) 1.3.6 Sistema ematopoietico La principale alterazione ematologica dell’IRC è rappresentata da un’anemia ipoproliferativa progressiva che si presenta con pallore delle mucose, affaticamento, letargia, debolezza, stanchezza, apatia, inappetenza e intolleranza al freddo. Lo sviluppo di 19 parenchima renale in corso di IRC comporta una carenza relativa o assoluta di EPO e, conseguentemente, una ipoplasia eritroide del midollo osseo.(9) Il deficit di EPO circolante rilevato nei pazienti con insufficienza renale cronica sembra possa essere attribuito anche alla diminuita risposta organica all’ipossia e all’aumentata attività proteolitica del plasma, responsabile di un’accelerata degradazione della stessa eritropoietina. (4) – Riduzione della vita media dei globuli rossi imputabile all’azione delle tossine uremiche circolanti. – Inibitori diretti dell’eritropoiesi di origine uremica. – Perdite ematiche dovute alla tendenza all’emorragia e al sanguinamento occulto a livello dell’apparato gastroenterico. – Carenze nutrizionali. – Fibrosi del midollo osseo.(9) L’uremia può essere caratterizzata anche dalla tendenza all’emorragia che si palesa con ecchimosi, emorragie gastroenteriche, ematemesi e melena, sanguinamento gengivale o gravi emorragie per la puntura di una vena. Tali manifestazioni sono il risultato di una ridotta funzionalità delle piastrine e di anomalie nell’interazione di queste ultime con le pareti vascolari, probabilmente riconducibili all’aumentata sintesi di ossido nitrico (NO) indotta dal plasma uremico.(3) 1.3.7 Occhio Le complicazioni oculari rappresentano le più comuni e, spesso, le uniche manifestazioni cliniche dell’ipertensione arteriosa causata dall’insufficienza renale cronica. Nell’uremia in fase avanzata si evidenziano iniezioni sclerali e congiuntivali mentre i riscontri oftalmoscopici includono: riduzione del riflesso pupillare, papilledema, tortuosità delle arterie retiniche, emorragie retiniche, distacco retinico, ifema (emorragia nella camera anteriore dell’occhio, tra cornea e iride), uveite anteriore e glaucoma.(6) Il meccanismo patogenetico della retinopatia ipertensiva è da ricercarsi nel carattere cronico del rialzo pressorio a carico della vascolarizzazione retinica. Tale condizione, infatti, conduce ad una continua e crescente vasocostrizione delle arteriole retiniche nel tentativo di autoregolare il flusso ematico locale (analogamente a quanto avviene a livello cerebrale). Tuttavia, l’occlusione delle arteriole precapillari può indurre ischemia 20 e degenerazione retinica e, una volta venuta meno l’integrità delle cellule muscolari lisce e dell’endotelio dei vasi, il plasma e/o i costituenti corpuscolati del sangue si diffondono nei tessuti circostanti.(5) 1.3.8 Sistema immunitario La maggiore suscettibilità alle infezioni batteriche rappresenta una complicazione importante ed una causa frequente di morte nei pazienti affetti da IRC. Essa si attribuisce ad una ridotta funzionalità dei neutrofili, che presentano una diminuzione della chemiotassi, dell’adesività e della fagocitosi, e ad alterazioni dell’immunità cellulo-mediata, con deficit numerico e funzionale dei linfociti B e T circolanti.(3) 1.4 Repert 21 ad un’iperazotemia, rispettivamente, prerenale (da aumentata sintesi di cataboliti azotati, da compromissioni della perfusione renale), renale (lesioni al parenchima renale) e postrenale (ostruzioni o rotture delle vie urinarie), la cui differenziazione è fondamentale per le notevoli implicazioni cliniche di carattere patogenetico, prognostico e terapeutico. Inoltre, essendo l’insufficienza renale cronica una complessa sindrome progressiva nella quale il danno renale primario va estendendosi ed aggravandosi nel tempo per l’instaurarsi di un meccanismo di autoperpetuazione, non bisogna sottovalutare la possibile coesistenza di diverse forme di iperazotemia.(3) (12) I parametri di riferimento per la determinazione dell’azotemia e, quindi, per la valutazione della funzionalità renale sono rappresentati dalla concentrazione plasmatica di urea o BUN (Blood Urea Nitrogen) e di creatinina (SC). La prima viene sintetizzata dal fegato a partire dall’ammonica che, a sua volta, scaturisce dal catabolismo delle proteine assunte con gli alimenti e di quelle endogene. Dotata di basso peso molecolare, l’urea è capace di attraversare le membrane passando con facilità fra i diversi compartimenti dei liquidi organici (tanto è vero che le sue concentrazioni nel LIC/LEC e quelle nel siero/plasma/sangue sono simili). La microflora intestinale è responsabile della degradazione dell’urea presente nel lume enterico e della sua conversione in ammoniaca la quale, riassorbita nella circolazione portale, viene di nuovo trasformata in urea ad opera del fegato. L’escrezione della molecola avviene prevalentemente a livello renale dove è filtrata liberamente dal glomerulo e riassorbita passivamente dai tubuli. La creatinina, invece, si forma in maniera irreversibile dal metabolismo di tipo non enzimatico della creatina e della fosfocreatina a livello muscolare, perciò la sua produzione è relativamente costante e proporzionale alla massa muscolare. Il peso molecolare della creatinina è maggiore rispetto a quello dell’urea dunque la sua diffusione nei liquidi organici risulta più lenta. Una piccola quota di creatinina raggiunge il lume intestinale, dove viene degradata dai batteri per essere, poi, escreta con le feci; la maggior parte, però, viene eliminata attraverso i reni a livello dei quali è liberamente filtrata dal glomerulo e riassorbita o escreta in quantità minime dai tubuli. Poiché la sintesi di questa molecola è pressoché costante, un aumento della sua concentrazione sierica è indice di ridotta escrezione renale.(13) 22 Le concentrazioni ematiche di azoto ureico e di creatinina forniscono, quindi, una stima grezza del tasso di filtrazione glomerulare (GFR – Glomerular Filtration Rate – o VGF – Velocità di Flitrazione Glomerulare). Dato, però, che i valori di SC sono influenzati da fattori extrarenali in misura minore rispetto ai livelli ematici di urea (condizionati, invece, da contenuto proteico della dieta, assorbimento intestinale delle proteine, emorragie gastrointestinali, catabolismo proteico, velocità del flusso urinario, shunt porto-sistemici, insufficienza epatica, trattamenti farmacologici) e che la creatinina non viene riassorbita dal tubulo renale, la creatininemia costituisce un migliore parametro di valutazione della funzionalità renale e di sue eventuali alterazioni rispetto alla concentrazione del BUN il quale, tuttavia, non deve essere trascurato ma comunque determinato ed interpretato alla luce della SC, soprattutto in pazienti che assumono una dieta a basso contenuto proteico.(10)(5) Infatti, l’adozione di un’alimentazione ipoproteica comporta una diminuzione del rapporto Urea/Creatinina che appare, invece, aumentato in presenza di anoressia, ipercatabolismo delle proteine, emorragia gastrointestinale, disidratazione e/o atrofia muscolare.(4) Negli animali d’affezione i range di riferimento dell’uremia e della cretininemia sono: o BUN= 20-60 mg/dL nel cane BUN= 20-65 mg/dL nel gatto; o SC= 0,7-1,4 mg/dL nel cane SC= 0,8-1,6 mg/dL nel gatto. 1.4.2 Acidosi metabolica Si parla di acidosi metabolica per indicare uno squilibrio acido-base caratterizzato da un’acidemia (pH< 7,35) derivante dalla riduzione della concentrazione plasmatica dei bicarbonati (<20 mEq/L) associata a valori di pCO2 normali (35 mmHg) o nel range di compensazione (± 7 mmHg).(11) Tale condizione fisiopatologica è caratteristica dell’IRC nella quale essa è imputabile soprattutto alla limitata capacità di escrezione degli ioni idrogeno (H+ ) e di rigenerazione dei bicarbonati (HCO3 – ) da parte dei reni alterati. L’importante ruolo svolto dall’emuntorio renale nella regolazione del bilancio acidobase si estrinseca nella combinazione del riassorbimento tubulare dei bicarbonati filtrati e dell’escrezione di protoni insieme allo ione ammonio NH4 + (ammoniogenesi) e ai 23 tamponi urinari (in particolare, HPO4 2- ). Con il graduale declino della massa renale funzionante, cui si assiste in corso di IRC, inizialmente la secrezione deficitaria di H+ è compensata dall’incremento dell’ammoniogenesi da parte dei nefroni superstiti; tuttavia, superata una certa soglia di disfunzione renale, la capacità di aumentare ulteriormente la secrezione di NH4 + viene meno, dando modo all’acidosi metabolica d’instaurarsi e di palesarsi. Non a caso il grado di tale squilibrio risulta proporzionale alla gravità dell’iperazotemia e dell’uremia. Altri fattori concorrono a determinare l’acidosi metabolica nell’insufficienza renale. – La perdita gastrointestinale di idrogenioni dovuta al vomito migliora lo stato acidosico; – L’azione tampone dei sali di calcio scheletrici può limitare la gravità dell’acidosi uremica;(3) (12) – Una dieta caratterizzata da scarso apporto proteico o da inadeguata composizione amminoacidica delle proteine contribuisce alla diminuzione dell’ammoniogenesi, in quanto riduce la disponibilità di glutammina necessaria alle cellule tubulari per la sintesi di NH3 (che, a sua volta, legandosi a H+ , genererà ioni ammonio).(4) L’acidosi metabolica, inoltre, contribuisce allo sviluppo e all’aggravamento di svariati effetti clinici tipici dell’insufficienza renale. • Bilancio negativo del calcio e demineralizzazione dell’osso: se la depauperazione ossea di carbonato di calcio, da un lato, esercita un’azione tampone sull’acidemia, dall’altro, essa favorisce l’osteodistrofia renale (termine generale per indicare disordini metabolici ossei in corso di IRC) e l’iperfosfatemia. • Bilancio negativo del potassio: lo stato acidosico promuove la fuoriuscita del potassio intracellulare e l’aumento della potassiuria con conseguente ipokaliemia.(4) • Bilancio negativo dell’azoto: la combinazione degli effetti di ridotta sintesi proteica, causata dall’insufficienza renale e/o dall’uremia, e di accelerazione della proteolisi, dovuta all’acidosi, determina un aumento dell’urea e dell’escrezione di azoto con negativizzazione del suo equilibrio. L’acidosi metabolica, infatti, può incrementare il catabolismo proteico allo scopo di 24 fornire al fegato il necessario approvvigionamento di azoto per la sintesi di glutamina, il substrato amminoacidico dell’ammoniogenesi renale. • Malnutrizione proteica: oltre all’accentuata proteolisi, vi concorrono l’anoressia/disoressia, la restrizione proteica dietetica (aumenta il rischio di acidosi metabolica cronica), lo squilibrio ormonale e l’anomalo metabolismo energetico. In ogni caso, la principale responsabilità della malnutrizione proteica, anche a fronte di un introito dietetico adeguato, si attribuisce all’eccessivo catabolismo proteico il quale, per di più, accelera la degradazione degli aminoacidi endogeni contenenti zolfo, favorendo ulteriormente l’acidosi in un circolo vizioso che va autoalimentandosi. • Anoressia, letargia, nausea, vomito, debolezza muscolare e perdita di peso.(3) 1.4.3 Iperfosfatemia ed iperparatiroidismo secondario renale L’iperparatiroidismo secondario renale è una sindrome clinica caratterizzata da aumento della secrezione di paratormone (PTH), l’ormone ipercalcemizzante prodotto dalle paratiroidi. Sebbene la patogenesi sia multifattoriale, esso è determinato fondamentalmente da: • ritenzione di fosforo per ridotta filtrazione renale: la quota di fosforo escreta dal rene è il netto della filtrazione glomerulare meno il riassorbimento tubulare dello stesso elettrolita. Negli stadi iniziali dell’IR, le concentrazioni di fosforo rimangono nel range fisiologico grazie alla diminuzione compensatoria del riassorbimento dei fosfati da parte dei nefroni superstiti. Quando, però, la GFR scende al di sotto del 20% del normale valore, questo effetto adattativo si esplica al massimo e, inevitabilmente, si instaura l’iperfosfatemia. (4) (5) Quindi la concentrazione sierica del fosfato, a grandi linee, affianca, quella dell’azoto ureico, pertanto il riscontro dell’iperfosfatemia non si verifica prima dell’inizio dell’iperazotemia.(3) La conseguenza principale della ritenzione dei fosfati è rappresentata dallo sviluppo e dalla progressione dell’iperparatirodismo secondario, quale meccanismo di compenso. Secondo l’ipotesi del trade off (in base alla quale il raggiungimento di un bene, altrimenti non conseguibile, comporta l’accettazione di un prezzo rilevante o, addirittura, di un danno), nell’insufficienza renale progressiva, per ripristinare l’omeostasi dei fosfati, venendo meno la necessaria 25 riduzione del loro assorbimento, si rende indispensabile una loro maggiore eliminazione, cui provvede l’iperincrezione di PTH ad opera delle paratiroidi. Il prezzo biologico che occorre, però, pagare, per il mantenimento dell’equilibrio del fosfato è dato dalle ripercussioni fisiopatologiche dell’iperparatiroidismo secondario renale nel quale il PTH, ad elevate concentrazioni, agisce come potente tossina uremica.(3) (5) • ridotta secrezione di 1,25-diidrossicolecalciferolo (calcitriolo o vitamina D3 attiva): nelle fasi precoci dell’insufficienza renale, la sua sintesi da parte delle cellule tubulari è limitata per l’effetto inibitorio esercitato dall’iperfosforemia sull’attività dell’enzima 1-α-idrossilasi, addetto alla idrossilazione (e alla definitiva attivazione) del 25-idrossicolecalciferolo di provenienza epatica.(4) La carenza di vitamina D3 attiva provoca un calo dell’assorbimento intestinale del calcio, diminuisce il rilascio di calcio e fosforo dall’osso ed il loro riassorbimento renale mentre incrementa la sintesi e la secrezione di PTH. Inizialmente, l’iperparatormonemia attiva l’enzima 1-α-idrossilasi residuo con un aumento compensatorio delle concentrazioni di calcitriolo. Successivamente, con la progressione della malattia, la stimolazione enzimatica diviene inefficace e le concentrazioni di 1,25-diidrossicolecalciferolo si attestano su livelli bassi.(6) Non sembra che l’iperfosfatemia induca direttamente dei sintomi clinici, tuttavia l’iperparatiroidismo secondario può contribuire alla morbilità e alla mortalità in corso di IRC. Esso, infatti, può provocare osteodistrofia renale in animali in accrescimento (il cui scheletro si dimostra più sensibile agli effetti dell’iperincrezione di PTH), calcificazione dei tessuti molli (soprattutto di polmoni, reni, arterie, stomaco e miocardio), demineralizzazione scheletrica, lesioni ossee cistiche, dolore osseo e ritardo della crescita. Per ragioni tuttora sconosciute, risultano più colpite le ossa del cranio e della mandibola che può essere piegata o ritorta senza fratturarsi (mandibola di gomma o rubber jaw), mentre i denti diventano mobili. La calcificazione renale, inoltre, promuove l’infiammazione interstiziale, la fibrosi e la progressione dell’IRC cui contribuisce anche il paratormone, in qualità di tossina uremica.(5) (6) 1.4.4 Ipo/ipercalcemia ed ipermagnesiemia 26 La diminuzione dell’assorbimento intestinale del calcio, legato ai bassi livelli sierici di calcitriolo derivanti dall’iperfosfatemia, è alla base dell’ipocalcemia comunemente riscontrata nei pazienti affetti da IRC. Occorre, tuttavia, precisare che il rilievo frequente di tale disfunzione riguarda il calcio ionizzato (Ca2+), mentre si registra un’inversione di tendenza per quanto attiene il calcio totale, il cui dosaggio, in corso di insufficienza renale, spesso svela, invece, un’ipercalcemia. Resta ancora da chiarire il meccanismo per il quale quest’ultima anomalia si accompagna, comunque, a concentrazioni ematiche di calcio ione da normali a ridotte; probabilmente, tale discrepanza può essere correlata ad un aumento del calcio complesso che trattiene anioni organici ed inorganici, come i citrati, i fosfati ed i solfati. Nei pazienti ipercalcemici, inoltre, è importante accertare se l’ipercalcemia rappresenta la causa o, piuttosto, il risultato dell’IRC. A questo proposito, è utile ricorrere alla determinazione dei livelli ematici di Ca2+: solo un’ipercalcemia ionizzata è in grado di promuovere l’insufficienza renale. Infine, essendo i reni i principali responsabili dell’escrezione del magnesio, anche l’ipermagnesiemia costituisce un’alterazione elettrolitica ricorrente nei soggetti con CKD.(5) 1.4.5 Ipopotassiemia Sebbene il cane sembri apparentemente in grado di mantenere l’equilibrio del potassio fino a stadi avanzati di disfunzione renale, nel gatto l’ipokaliemia si configura come una delle alterazioni biochimiche più frequenti dell’IRC, tant’è che è stata ipotizzata anche un’associazione tra ipopotassiemia e insufficienza renale poliurica. Si pensa, infatti, che la deplezione cronica di potassio possa essere la causa e non la conseguenza della CKD in quanto, oltre a promuovere il danno renale accentuando l’ammoniogenesi, essa può compromettere la funzione dell’organo inducendo un declino reversibile della VGF. Il potassio è escreto principalmente dai reni, solo piccole quantità sono eliminate con le feci o con il sudore. La maggior parte del K+ presente nelle urine è il risultato della filtrazione glomerulare e della secrezione da parte del tubulo distale che si rivela piuttosto sensibile alla velocità del flusso tubulare; la diuresi promuove la secrezione del potassio mentre l’antidiuresi la limita. Una marcata perdita di K+ può, quindi, essere legata anche alla poliuria. 27 Nei pazienti con insufficienza renale cronica i nefroni residui mantengono l’equilibrio incrementando, proporzionalmente al declino della GFR, la secrezione tubulare distale del potassio. In realtà, anche l’eliminazione gastroenterica di questo ione sembra aumentare nell’IRC apportando, così, un importante contributo al controllo della kaliemia in questa situazione. Il meccanismo responsabile dello sviluppo dell’ipopotassiemia nei gatti con IRC risulta poco chiaro e comprende: l’eccessiva perdita di potassio attraverso l’urina, l’inadeguata assunzione dello stesso elemento con l’alimentazione e le diete acidificanti. A causa dell’impatto del K+ sui potenziali a riposo delle membrane e sul metabolismo cellulare, gli squilibri potassici, dal punto di vista clinico, si manifestano con le tipiche disfunzioni neuromuscolari: debolezza muscolare generalizzata, dolore e miopatia ipokaliemica che si presentano sotto forma di ventroflessione del collo e andatura rigida ed innaturale. I bassi livelli ematici di potassio determinano anche inibizione della sintesi proteica, perdita di peso, mantello scadente ed intensificazione della poliuria, riducendo la reattività renale all’ADH.(3) (6) 1.4.6 Anomalie nel metabolismo dell’insulina Le anomalie del metabolismo dell’insulina associate all’uremia comprendono: iperinsulinemia, lieve iperglicemia, resistenza periferica all’insulina, risposte errate al carico di glucosio da parte delle cellule β delle isole pancreatiche ed ipoglicemia spontanea. Gli elevati livelli di insulina, riscontrati negli stadi avanzati dell’IRC, si attribuiscono, in parte, alla ridotta degradazione dell’ormone ad opera dei reni (nei quali, già per diminuzioni della GFR inferiori del 15-20%, tale eliminazione subisce un calo precipitoso) e di alcuni tessuti extrarenali (fegato, muscolo), probabilmente per gli effetti nocivi di tossine uremiche non identificate. Ne consegue una minore necessità di insulina da parte dei pazienti diabetici affetti da insufficienza renale. L’intolleranza ai carboidrati (soprattutto al glucosio) e la lieve iperglicemia derivano forse dalla resistenza periferica all’azione dell’insulina (impedimento all’ingresso di glucosio nelle cellule), che riguarda principalmente le fibre muscolari, e dall’alterata attività secretoria delle cellule β del pancreas, solitamente diminuita nell’IRC. La patogenesi dei diversi riscontri clinici caratterizzanti la sindrome chiama in causa l’anomalo metabolismo insulinico; si segnalano, in particolare: 28 • l’atrofia muscolare riconducibile alla mancata azione insulinica sul trasporto degli amminoacidi, sul metabolismo e sul ricambio proteico; • i ritardi di crescita; • l’ipertrigliceridemia promossa dalla resistenza all’insulina.(3) 1.4.7 Iperamilasemia ed iperlipasemia Nei cani con insufficienza renale cronica risultano comunemente aumentate le attività dell’amilasi e della lipasi sieriche sebbene i meccanismi responsabili di tale rilievo, difficilmente dovuto alla sola disfunzione renale, siano poco chiari. Si pensa, infatti, che l’iperamilasemia e l’iperlipasemia possano essere causate, almeno in parte, dalla deficitaria escrezione renale di questi enzimi per i quali, tuttavia, l’emuntorio renale non rappresenta una importante via di eliminazione. È stato, inoltre, ipotizzato che l’IRC possa promuovere o indurre lo sviluppo di una “pancreatite uremica” la quale potrebbe giustificare le elevate concentrazioni ematiche dell’amilasi e della lipasi; le lesioni infiammatorie a carico del pancreas non possono, però, essere ritenute le cause certe di tali alterazioni enzimatiche.(3) 1.4.8 Anomalie dei lipidi Nelle persone affette da CRF sono comuni i disturbi del trasporto delle lipoproteine i quali diventano più pronunciati con l’avanzare della malattia. La conseguenza più rilevante di tale dislipoproteinemia è rappresentata da una ipertrigliceridemia di grado moderato derivante dal diminuito catabolismo delle lipoproteine, piuttosto che dalla loro aumentata sintesi, mentre le alterazioni del metabolismo del colesterolo si rivelano occasionali e per lo più dipendenti da quelle dei trigliceridi. L’insufficienza renale è, infatti, caratterizzata dal difettoso metabolismo dei chilomicroni, dall’accumulo di lipoproteine a densità media (Intermediate Density Lipoprotein: IDL) ed estremamente bassa (Very-Low Density Lipoprotein: VLDL), entrambe ricche in trigliceridi, e dalla diminuzione di quelle a bassa densità (Low Density Lipoprotein: LDL). Il difetto del catabolismo e della rimozione dei trigliceridi può essere causato da una carente attività lipasica (soprattutto delle lipoproteine e del fegato), da alterazioni dei substrati lipoproteici e da un diminuito assorbimento delle lipoproteine. I meccanismi responsabili di questi fenomeni non sono noti ma non si esclude il coinvolgimento della 29 resistenza insulinica, dell’iperparatiroidismo e degli inibitori uremici, a fondamento della comprovata proporzionalità diretta tra grado di avanzamento dell’IRC (e, quindi, dell’iperazotemia) ed entità dell’ipertrigliceridemia. Sembra, inoltre, che le anomalie lipidiche da insufficienza renale siano influenzate dalla dieta, soprattutto per quanto riguarda la composizione dei lipidi e dei carboidrati assunti con gli alimenti, il cui contenuto proteico apparirebbe, invece, poco incisivo. Sebbene il significato clinico della dislipoproteinemia uremica resti ancora da chiarire, i disordini lipidici associati all’insufficienza renale comportano implicazioni cliniche di non poco conto in merito allo sviluppo di patologie aterosclerotiche cardiovascolari e alla progressione della stessa CKD.(3) 1.4.9 Alterazioni del peso specifico urinario Le capacità di concentrare e di diluire le urine, parzialmente conservate nelle fasi iniziali dell’insufficienza renale, sono ampiamente perse negli stadi più avanzati della malattia quando, indipendentemente dalla natura della lesione primaria, è comune il riscontro di isostenuria o stabilizzazione del peso specifico urinario. La totale incapacità da parte dei nefroni di modificare il filtrato glomerulare esita tipicamente nella formazione di urina con peso specifico simile a quello dello stesso filtrato (1,008- 1,012). Tale segno, generalmente, non si verifica all’improvviso ma, più spesso, si sviluppa gradualmente; pertanto, un peso specifico dell’urina di circa 1,007-1,029 nel cane e di 1,007-1,034 nel gatto, associato a disidratazione e/o ad iperazotemia è fortemente indicativo di un ‘insufficienza renale primaria.(14) 1.4.10 Proteinuria Sebbene il termine proteinuria si riferisca semplicemente alla presenza di proteine nelle urine, esso è generalmente impiegato per indicare un’anomala concentrazione proteica urinaria (> 20 mg/Kg/die).(14) Il riscontro o la mancanza, la persistenza nonché la quantificazione di tale segno costituiscono significativi elementi caratterizzanti l‘insufficienza renale cronica. In condizioni fisiologiche, le urine dei cani e dei gatti contengono solo una piccola quantità di proteine, in quanto la permeabilità selettiva del capillare glomerulare limita la filtrazione della maggior parte delle proteine plasmatiche sulla base del peso 30 molecolare (PM “soglia”= 60-65 KDa) e della carica elettrica (la parete capillare è caricata negativamente perciò respinge le molecole con carica netta negativa). Inoltre, le proteine di dimensioni minori e caricate positivamente, dunque capaci di oltrepassare la parete, sono in gran parte riassorbite dalle cellule epiteliali del tubulo prossimale per essere, poi, scisse ed utilizzate da queste cellule o ritornare nel circolo ematico. La comparsa di proteinuria può dipendere da condizioni fisiologiche o patologiche. La proteinuria fisiologica o benigna è generalmente transitoria e si risolve una volta eliminate le cause di base rappresentate, ad esempio, da un’estenuante attività fisica, convulsioni, febbre, esposizione a temperature molto elevate o basse e situazioni di stress. La proteinuria patologica può essere determinata da anomalie a carico delle vie urinarie o extra-urinarie. In quest’ultimo caso, nell’urina, si rinvengono proteine a basso peso molecolare agevolmente filtrate dai glomeruli ma non riassorbite dai tubuli prossimali, dei quali superano la capacità di riassorbimento (ne sono un esempio le proteine di Bence-Jones), oppure proteine derivanti da processi flogistici a carico del tratto genitale (metriti, prostatiti) o da congestione renale secondaria a insufficienza cardiaca congestizia. La proteinuria patologica di origine urinaria si distingue, a sua volta, in renale e non renale. La seconda è solitamente associata a fenomeni infiammatori o emorragici delle basse vie urinarie (urolitiasi, neoplasie, traumi, cistiti) per i quali l’analisi del sedimento urinario fornisce importanti informazioni, soprattutto in merito alla causa responsabile del processo. La proteinuria renale, invece, compare secondariamente a lesioni di una o più componenti del nefrone. La glomerulonefrite e l’amiloidosi alterano la permeabilità selettiva dei capillari glomerulari e, determinando il passaggio di esuberanti quantità proteiche nell’ultrafiltrato, provocano una proteinuria persistente e consistente (> 50 mg/Kg/die) con sedimento urinario normale o accompagnata dalla formazione di cilindri ialini. Anche nefropatie di tipo infiammatorio o infiltrativo (neoplasie, pielonefrite) o anomalie tubulari, responsabili di una diminuzione del riassorbimento del filtrato proteico (soprattutto dell’albumina), possono dare luogo ad una proteinuria renale duratura ma, generalmente, di entità minore rispetto a quella riscontrata per danni glomerulari. 31 I test di screening per l’evidenziazione della proteinuria consistono in metodi semiquantitativi, rappresentati dalla prova colorimetrica con le cartine e quella turbidimetrica con acido sulfosalicidico. La prima, economica e facile da eseguire, si basa sul legame degli aminogruppi proteici all’indicatore incorporato nella carta da filtro della cartina. Tale interazione determina il cambiamento di colore della striscia reattiva che, mediante lettura soggettiva dell’operatore o con l’ausilio di più accurati analizzatori automatici di tipo fotometrico, viene confrontata con una scala colorimetrica graduata standard. La prova turbidimetrica, invece, consiste nel miscelare pari quantità di surnatante urinario con acido sulfosalicidico dal 3 al 5% e classificando in modo soggettivo la torbidità conseguente alla precipitazione delle proteine in base ad una scala graduata che va da 0 a +4. A prescindere dal metodo semiquantitativo impiegato, si rende comunque opportuno eseguire un esame completo delle urine poiché la proteinuria rilevata deve essere interpretata in base al peso specifico e al sedimento urinario. Infatti, una proteinuria consistente potrebbe passare inosservata in presenza di urina diluita, mentre un aumento della concentrazione proteica urinaria, indotta da infiammazioni o emorragie delle basse vie urinarie, potrebbe risultare fuorviante se non esaminata contestualmente alle certe alterazioni del sedimento (batteriuria, piuria, riscontro di eritrociti e di cellule epiteliali).(13) Qualora, mediante i suddetti metodi semiquantitativi, si evidenzi una proteinuria significativa associata ad esame del sedimento normale (sospetta origine renale), è necessario procedere alla quantificazione delle proteine eliminate con l’urina, al fine di valutare la gravità delle lesioni renali e di monitorare la progressione della malattia o la risposta al trattamento. A questo proposito, è stato dimostrato che il rapporto proteine/creatinina in campioni di urina (UPr/UCr o UPCR, Urine Protein:Creatinine Ratio) del cane e del gatto riflette in modo accurato la quantità di proteine escrete nell’arco delle 24 ore. Tale rapporto, infatti, non appare influenzato dal volume e dalla concentrazione dell’urina ma si mantiene costante durante la giornata, consentendo, così, di quantificare la proteinuria senza dover raccogliere campioni urinari in tempi stabiliti. Nel cane e nel gatto, dove il test ha notevolmente semplificato la diagnosi di nefropatia, è considerato normale un UPr/UCr inferiore, rispettivamente, a 0,4 e 0,5.(10) 32 1.5 Diagnosi La diagnosi di insufficienza renale cronica viene posta sulla base di: – Anamnesi medica; – Esame clinico; – Rilievo di iperazotemia (BUN> 60 mg/dL nel cane, BUN> 65 mg/dL nel gatto) e di ipercreatininemia (SC> 1,4 mg/dL nel cane, SC> 1,6 mg/dL nel gatto): nei pazienti affetti da IRC, viene meno la normale capacità di espulsione dei cataboliti proteici a causa della ridotta filtrazione glomerulare, della diminuita secrezione tubulare, dell’ ipoperfusione dovuta a fattori extrarenali e dell’incremento del catabolismo tissutale. Ne consegue un accumulo di prodotti della degradazione proteica da loro mancata eliminazione, sebbene l’aumento di alcuni composti, come la guanidina, possa essere provocato da una loro maggiore sintesi. – Esame emocromocitometrico; – Profilo elettrolitico e acido-basico comprendenti: sodio, potassio, cloro, calcio, fosforo, bicarbonato e CO2 totale; – Esame completo delle urine ed eventuale urinocoltura; – Misurazione della pressione arteriosa per escludere l’ipertensione sistemica; – Radiografia dell’addome per valutare: dimensioni, forma e localizzazione dei reni; uroliti o masse interessanti reni, ureteri o uretra; dimensioni, forma e localizzazione di uroliti vescicali. – Ecografia renale ed eventuale urografia discendente per escludere ostruzioni dell’apparato urinario, uroliti renali, pielonefriti, rene policistico e neoplasie renali; – Biopsia renale indicata se i reni appaiono di dimensioni normali o leggermente ingranditi; può fornire una diagnosi eziologica. – Determinazione della GFR o VGF quando il deterioramento della funzione renale è inferiore al 60-70% e la creatininemia risulta ancora nella norma.(4) (5) 1.5.1 Ecografia renale L’esame ecografico, rapido e non invasivo, viene utilizzato per valutare la struttura del tessuto renale qualora emergano anomalie a carico dei reni nel corso dell’esame 33 clinico (per esempio alterazioni di dimensioni o forma), nelle analisi di laboratorio (iperazotemia, proteinuria) o nelle radiografie standard (alterazioni di dimensione o forma, radio-opacità o mancata evidenziazione di uno dei due reni).(10) Fornendo un’ottima definizione della geometria renale, dell’architettura intrarenale, della consistenza parenchimale e dell’integrità delle vie urinarie intrarenali, esso si configura come un indispensabile mezzo diagnostico complementare per la conferma di sospette nefropatie.(1) In particolare, quando i dati anamnestici, i rilievi clinici e quelli di laboratorio depongono a favore di uno stato di insufficienza renale cronica, è buona norma sottoporre il paziente ad un’ecografia addominale che, come prima tecnica di diagnostica per immagini, va sempre più imponendosi sulla radiografia mostrandosi, rispetto a quest’ultima, più immediata, meglio tollerata dall’animale, priva di effetti collaterali, capace di evidenziare i dettagli interni del rene e, all’occorrenza, di guidare prelievi bioptici. Nell’animale affetto da nefropatia, la semeiotica ecografica è fondata sul carattere diffuso o localizzato delle anomalie osservate così come sulle modificazioni dell’ecogenicità, dell’architettura, della grandezza e della forma dei reni. Occorre, però, sottolineare che non esiste una stretta correlazione tra la funzionalità renale e le modificazioni ecografiche rilevate; talvolta, anche in corso di insufficienza renale (acuta o cronica), l’aspetto dei reni può essere perfettamente normale. Si stima, addirittura, che oltre un terzo delle nefropatie non si accompagnino ad alcuna modificazione ecografica. In presenza di IRC, soprattutto se allo stadio terminale, si è soliti riscontrare una diminuzione della giunzione cortico-midollare con iperecogenicità globale dell’organo. Secondo il tipo ed il grado di evoluzione della lesione che ha condotto all’insufficienza renale, l’architettura, la grandezza e la morfologia del rene possono essere più o meno modificate ma, tendenzialmente, si osserva una riduzione delle sue dimensioni associata a forma e profilo irregolari. Descriviamo brevemente i rilievi ecografici delle principali lesioni renali responsabili di CKD: • Le displasie renali familiari (Lhasa Apso, Samoiedo, Shih-Tzu, Dobermann, Pastore Tedesco…) sono caratterizzate da una disorganizzazione 34 dell’architettura renale con aumento dell’ecogenicità e dello spessore della corticale direttamente proporzionali al livello di avanzamento della lesione. I reni patologici appaiono spesso più piccoli della norma, la distinzione cortico-midollare è difficile e, talvolta, uretere e bacinetto si presentano dilatati. • Le cisti renali, sia congenite e/o ereditarie che acquisite, si mostrano come cavità anecogene, di forma rotonda od ovoidale e ben delimitate da una parete sottile. Esse possono essere isolate o multiple, unilaterali o bilaterali, a localizzazione corticale (andando, così, a deformare la superficie dell’organo) e/o midollare. Le forme familiari sono frequenti nei gatti a pelo lungo (soprattutto nel Persiano) nei quali le cisti sono, generalmente, multiple, diffuse e, talvolta, estese non solo ad entrambi i reni ma anche ad altri organi (fegato, pancreas, pericardio, mediastino…); si parla, infatti, di malattia policistica del gatto Persiano. Nel cane, invece, tali lesioni risultano più spesso isolate e di ritrovamento casuale, mentre reni policistici su base ereditaria sono stati descritti solo nel Briard e nel Cairn Terrier. • L’idronefrosi, sia congenita che acquisita, consiste in una dilatazione del bacinetto renale che appare come una zona anecogena di grandezza variabile in funzione del grado di avanzamento della lesione. Parallelamente, lo spessore del parenchima renale adiacente si modifica in relazione alla progressione dell’ipertensione urinaria nella cavità pielica, fino, addirittura, a venire gradualmente distrutto durante l’evoluzione dell’idronefrosi. Il rene si trasforma, allora, in una cavità cistica totalmente anecogena che respinge gli organi vicini. • La pielectasia, esclusivamente di natura acquisita, è definita come una dilatazione del bacinetto senza interessamento del parenchima renale. La pelvi dilatata assume l’aspetto particolare di una cavità anecogena a forma di V nelle sezioni frontali e trasversali. • Le neoplasie renali, sia primitive che metastatiche, possono essere unilaterali o bilaterali, focali o multifocali su uno stesso rene, di aspetto variabile secondo il grado di fibrosi, di emorragia, di necrosi e di mineralizzazione. L’ecografia permette di diagnosticare tumori di grandezza superiore a 0,5 35 cm. Il linfoma, neoplasia del rene più frequente nel gatto, si presenta sotto forma di lesioni focali ipoecogene (da differenziare dal rene policistico) o di un ispessimento corticale diffuso. A volte, soprattutto nel cane, il linfoma si associa ad una completa disarchitettura renale. • Numerose patologie parenchimatose diffuse del rene (glomerulonefriti, nefriti interstiziali, amiloidosi, nefrosclerosi, intossicazione da glicole etilenico…) si accompagnano ad un incremento dell’ecogenicità corticale e, spesso, ad una più netta demarcazione cortico-midollare. Le nefropatie ipercalcemiche, invece, sono caratterizzate da un’iperecogenicità della corticale, con o senza aumento del suo spessore e, talora, associata alla presenza di nefroliti. Nella midollare esterna, inoltre, può essere osservato il cosiddetto “anello midollare”, un bordo iperecogeno di 1-3 mm di spessore, parallelo alla giunzione cortico-midollare e dovuto alla calcificazione dei tubuli distali e dei dotti collettori. • Le pielonefriti, definite come infiammazioni del bacinetto e del parenchima renale, presentano un quadro ecografico di nefromegalia, dilatazione pielica, bordo iperecogeno alla periferia della cavità pelvica, cattiva delimitazione della giunzione cortico-midollare ed iperecogenicità corticale e/o midollare.(46) 36 2. IRIS (International Renal Interest Society) Nel 1998, a Vienna, nel corso dell’ottavo congresso annuale della European Society of Veterinary Internal Medicine, è stata fondata l’IRIS (International Renal Interest Society) con lo scopo di aiutare i medici veterinari a diagnosticare, comprendere e curare le malattie renali del cane e del gatto. L’organico dell’IRIS attualmente consta di 14 membri del Consiglio, specialisti veterinari in nefrologia e provenienti da 10 Paesi in tutto il mondo. Fin dall’inizio, uno dei principali obiettivi dell’organizzazione è stato quello di istituire un insieme di linee guida riconosciuto a livello internazionale, utile alla diagnosi e alla valutazione della progressione dell’insufficienza renale cronica nei piccoli animali. Sull’esempio di uno schema utilizzato in medicina umana (analogamente a quanto avvenuto in precedenza per l’insufficienza cardiaca), è nato, in seno al Consiglio dell’IRIS, un sistema di classificazione dell’IRC (IRIS Staging System) che ha ben presto ricevuto l’approvazione dell’American e dell’European Societes for Veterinary Nefrphrology and Urology (ASVNU e ESVNU), sebbene la sua messa a punto debba considerarsi in continua evoluzione, dietro la spinta delle nuove conoscenze via via acquisite riguardo alle malattie renali canine e feline. Una volta emessa la diagnosi di CKD, l’applicazione dell’IRIS Staging System consente di agevolare l’individuazione del trattamento medico-conservativo (l’unico finora attuato nella pratica medica veterinaria) più appropriato per il caso specifico ed il monitoraggio del paziente, necessario a controllare la progressione della malattia e a garantire la maggiore aspettativa di vita possibile all’animale. La stadiazione IRIS si basa, innanzitutto, sulla misurazione della creatinina plasmatica, almeno in due occasioni, nel paziente stabile e a digiuno; successivamente, si procede ad una sottostadiazione mediante la valutazione, prima, della proteinuria e, poi, della pressione arteriosa sistemica. In tal modo, ciascun caso di insufficienza renale cronica viene inserito in una classe, a seconda del livello di creatininemia (stadio I, II, III e IV), e in due sottoclassi, in base ai valori proteinurici (NP, PB, P) e pressori (rischio MINIMO, BASSO, MODERATO e ALTO). 37 A partire da queste categorie, possono essere formulate alcune raccomandazioni empiriche circa il piano terapeutico più logico da adottare nei singoli casi di IRC, certa o presunta. Inoltre, l’esperienza clinica acquisita permette al medico veterinario di avanzare ipotesi e previsioni riguardo alla probabile risposta del paziente al trattamento proposto. Occorre, però, sottolineare che il sistema di classificazione IRIS è applicabile solo ai cani e ai gatti con insufficienza renale cronica stabile, mentre non può essere adottato per altri disordini della funzione renale, caratterizzati da notevoli oscillazioni della creatininemia in brevi lassi di tempo. Pertanto, una volta rilevata l’iperazotemia, è importante, prima di tutto, indagarne l’origine, prerenale, postrenale o renale intrinseca; in quest’ultimo caso, sarà necessario stabilire se la malattia renale è acuta, scompensata cronica o cronica, riservandoci di impiegare l’IRIS Staging System nei soli casi di CKD stabilizzata. ( 7) (15) (16) 2.1 Classificazione dell’IRC secondo l’IRIS Staging System Il primo e principale parametro di riferimento per la stadiazione dell’insufficienza renale cronica è rappresentato dalla concentrazione di creatinina nel plasma o nel siero. I membri dell’IRIS sono consapevoli dei limiti di un simile approccio, in quanto la creatininemia, sebbene più attendibile dell’uremia, subisce comunque l’influenza di diversi fattori, quali la massa muscolare, lo stato di idratazione ed il regime alimentare. Il criterio di scelta per la valutazione della massa renale funzionante sarebbe costituito, in realtà, dalla GFR o VFG, per la quale, tuttavia, non è ancora disponibile un metodo di misurazione realisticamente utilizzabile in campo veterinario. Per questo la concentrazione plasmatica della creatinina, inversamente proporzionale al tasso di filtrazione glomerulare, ad oggi si configura come il test della funzionalità renale più utile e più facilmente attuabile nella pratica veterinaria. Per una sua corretta interpretazione, il paziente deve essere stabile, a digiuno e ben idratato quando sottoposto a prelievo ematico. I valori di creatininemia utilizzati per definire i quattro stadi IRIS (Tabella 1) sono stati dibattuti all’interno del Consiglio societario e concordati sulla base 38 dell’esperienza clinica dei singoli membri e dei dati ricavati da precedenti studi in materia.(7) (15) Tabella 1: Classificazione IRIS dell’insufficienza renale cronica nel cane e nel gatto.(15) Creatinina plasmatica Stadio µmol/L – mg/dL Cane Gatto Commenti 0 <125 ><1,4 ><140 ><1,6 A rischio di IRC: pazienti da sottoporre a regolari test di screening (dosaggio della creatininemia) e a misure di controllo per riduzione dei fattori di rischio. I ><125 ><1,4 ><140 ><1,6 IRC non azotemica: presenza di altre anomalie renali, quali incapacità di concentrazione delle urine senza apparenti cause extrarenali; anormale palpazione o immagine (eco, rx) renale; persistente proteinuria renale; alterata biopsia renale; aumento della concentrazione plasmatica di creatinina (sebbene ancora entro i limiti di riferimento) in campionamenti in serie. II 125-179 1,4-2,0 140-249 1,6-2,8 Iperazotemia renale lieve: per molti laboratori, il limite inferiore dell’intervallo è compreso entro il range di riferimento; tuttavia, la scarsa sensibilità del dosaggio della creatinina plasmatica come test di screning fa sì che spesso, negli animali con valori di cretininemia prossimi al limite superiore della normalità, l’escrezione renale sia insufficiente. Segni clinici, generalmente, lievi o assenti. III 180-439 2,1-5,0 250-439 2,9-5,0 Iperazotemia renale moderata: possibile presenza di segni clinici sistemici IV >440 >5,0 >440 >5,0 Iperazotemia renale grave: frequente riscontro di numerosi segni clinici sistemici. La principale difficoltà con la quale devono confrontarsi i medici veterinari risiede nel riconoscimento dell’insufficienza renale prima della comparsa dell’azotemia (stadio I e 39 inizio dello stadio II). In Medicina Veterinaria, infatti, la diagnosi classica di IRC è basata sul rilievo di una creatininemia cronicamente elevata associata all’incapacità di concentrare le urine ma, spesso, raggiunto questo livello (dalla fine dello stadio II fino allo stadio IV), l’evoluzione patogenetica della malattia non consente più di individuarne l’eziologia (neppure con l’ausilio di una biopsia renale) e, dunque, di trattare ed, eventualmente, rimuovere la causa sottostante. Perseguendo l’obiettivo di una diagnosi precoce di CKD, è stato, così, introdotto lo stadio IRIS 0 (Tabella 1) il quale raggruppa quei soggetti che, seppur asintomatici, sono a rischio di sviluppare tale sindrome, soprattutto in ragione della loro età. Considerata la crescente rilevanza medica che l’insufficienza renale cronica, in qualità di problematica tipica dell’età geriatrica, va acquisendo non solo in ambito umano ma anche nel settore veterinario a seguito delle maggiori aspettative di vita degli animali d’affezione, sarebbe opportuno procedere sistematicamente ad uno screening della funzionalità renale in cani e gatti prossimi alla senilità (a partire da circa 8 anni) mediante il dosaggio annuale della creatinina plasmatica (e, semmai, la determinazione della GFR). In tal modo, si avrebbero migliori probabilità di individuare gli esordi di una potenziale IRC e, quindi, di attuare un adeguato e più efficace trattamento del processo patologico fin dalla sua comparsa.(7) 2.2 Sottostadiazione dell’IRC secondo l’IRIS Staging System In seguito ad una prima essenziale classificazione basata sulla valutazione della creatininemia, il gruppo IRIS raccomanda, ove possibile, una sottostadiazione dei pazienti affetti da CKD mediante la misurazione della proteinuria (espressa come UPr/UCr) e della pressione arteriosa sistemica. L’esame di queste due variabili è vivamente consigliato perché eventuali loro alterazioni possono manifestarsi contemporaneamente o separatamente in qualsiasi stadio della CRF e perché, in Medicina Umana, entrambe, da tempo, sono note come indipendenti fattori di rischio per la rapida progressione del danno renale; è probabile che lo stesso avvenga anche per i pazienti veterinari.(15) 2.2.1 Misurazione della proteinuria Il rapporto UPr/UCr costituisce un importante indicatore prognostico nei cani e nei gatti con IRC a patto, però, che sia accertata l’origine renale di un suo eventuale aumento e 40 che gli esami ematochimici attestino l’assenza di disprotidemia. Perciò, prima di procedere alla sottostadiazione della CKD proposta dall’IRIS, occorre escludere ogni causa prerenale o postrenale di proteinuria attraverso l’esecuzione di un esame completo delle urine che includa l’analisi microscopica del sedimento, onde scongiurare la presenza di fenomeni infiammatori e/o emorragici a carico delle basse vie urinarie.(7) Inoltre, essendo una proteinuria persistente certamente più indicativa di una proteinuria transitoria, si rende altrsesì necessario verificare la persistenza di elevati UPr/UCr in tre o più campioni di urina prelevati in un periodo di almeno due settimane. La misurazione del rapporto UPr/UCr richiede l’impiego di test specifici, quali la prova turbidimetrica con acido sulfosalicilico o l’ERD® test (E.R.D.-Healt Screen).(15) Quest’ultimo rappresenta l’unico presidio oggi disponibile per la rilevazione, a mezzo di anticorpi monoclonali specie-specifici, della microalbuminuria nelle urine del cane e del gatto. Si tratta di un test semiquantitativo, rapido e facile da leggere, in grado di evidenziare l’insulto renale prima degli indici BUN/SC, in quanto dotato di elevata sensibilità e specificità nel rilevare la presenza di albuminuria derivante da processi infiammatori e infettivi o da malattie metaboliche e neoplastiche ancora non evidenti. Esso si configura, quindi, come un prezioso strumento per monitorare il trattamento, la gravità e la progressione del danno renale negli animali d’affezione, nonché per sottostadiare i pazienti con IRC secondo l’IRIS Staging System (17) (Tabella 2). Tabella 2: Sottostadiazione IRIS dell’IRC canina e felina in funzione della proteinuria.(15) Il riscontro di proteinuria (soggetti P e BP) è correlato al concomitante stadio di CKD: esso risulta tanto più rilevante quanto più avanzato è il grado della malattia e, dunque, quanto più marcato è il declino della GFR. Con il progredire dell’insufficienza renale, infatti, il meccanismo compensatorio dell’iperfiltrazione fa sì che, nei nefroni superstiti, UPr/Ucr Cane Gatto Sottostadio <0,2 ><0,2 Non proteinurici (NP) 0,2-0,5 0,2-0,4 Proteinurici borderline (BP); da rivalutare entro 2 mesi e riclassificare a seconda dei nuovi risultati. >0,5 >0,4 Proteinurici (P) 41 il carico di proteine filtrate presentate ai tubuli vada aumentando; raggiunta, però, la massima capacità di riassorbimento tubulare, si verifica un incremento della perdita di proteine, non più recuperate, attraverso i nefroni intatti, con ulteriore riduzione della massa renale funzionante. Così, il sottostadio “Proteinurici” appare più significativo nello stadio III, anziché nello stadio I. Tuttavia, quando la disfunzione renale è molto grave ed irrimediabilmente scompensata, anche la proteinuria può declinare divenendo, talvolta, meno frequente nei pazienti in fase III e IV.(15) (7) I soggetti appartenenti ai sottostadi NP e BP, all’ERD® test sono classificati come “microalbuminurici”. Il significato prognostico della microalbuminuria (concentrazione urinaria di albumina variabile tra 1,0 e 3,0 mg/dL, dunque troppo bassa per essere rilevata con la metodica standard delle strisce reattive(10)) resta ancora da chiarire, perciò, in questi casi, l’IRIS raccomanda un monitoraggio continuo dei valori di UPr/UCr.(15) 2.2.2 Misurazione della pressione arteriosa sistemica L’ipertensione arteriosa rappresenta la più frequente alterazione cardiovascolare e uno dei principali fattori di progressione dell’insufficienza renale cronica. Essa, infatti, non si ripercuote solo sui reni, aggravandone le lesioni, ma danneggia anche il cuore (ipertrofia ventricolare sinistra), l’occhio (ifema, retinopatia ipertensiva) e l’encefalo (torpore, letargia, convulsioni), dando luogo a segni extrarenali, più o meno evidenti, con aumento della morbilità. Il gruppo IRIS, pertanto, suggerisce di sottoporre a sistematico controllo della pressione arteriosa tutti i pazienti affetti da CKD e, sebbene nell’ambito del Consiglio non siano state concordate né definite le precise metodologie da adottare per la valutazione di questa variabile, esso raccomanda di procedere secondo tecniche standardizzate.(15) Nella pratica clinica dei piccoli animali, la pressione arteriosa viene misurata attraverso metodi indiretti, quali il metodo oscillometrico, che consente di registrare i movimenti oscillatori della parete vasale, ed il metodo Doppler, maggiormente impiegato, che sfrutta l’omonimo segnale per l’auscultazione diretta del flusso sanguigno. La misurazione è effettuata preferibilmente in una sala tranquilla, lontano da fonti di rumore, dopo aver dato la possibilità all’animale, correttamente posizionato, di ambientarsi e di adattarsi alla situazione di contenimento. Di solito, si eseguono 7 42 rilevazioni pressorie e, scartati il valore massimo e minimo ottenuti sia per la pressione diastolica che per quella sistolica, la media dei valori rimasti viene considerata rappresentare la pressione diastolica e sistolica di quel determinato paziente.(18) Per la raccolta di dati utili alla sottostadiazione, occorre ripetere la suddetta procedura, preferibilmente, in occasione di più visite cliniche dell’animale effettuate in giorni successivi, altrimenti, nel corso della stessa visita, con almeno 2 ore di intervallo tra una misurazione e l’altra. I valori di pressione sanguigna così ottenuti permettono di classificare i cani e i gatti affetti da IRC in base al rischio di sviluppare danni a carico di organi bersaglio (rene, cuore, encefalo e occhio) e complicanze extrarenali (Tabella 3). Tabella 3: Sottostadiazione dell’IRC in funzione della pressione arteriosa sistemica.(8) (15) Pressione sistolica media (mmHg) Pressione diastolica media (mmHg) Esubero oltre il range di riferimento (mmHg) Sottostadio <150 ><95 ><10 Rischio minimo o assente di lesioni a carico di organi bersaglio; scarse probabilità di evidenziare segni di complicazioni extrarenali. 150-159 95-99 10-20 Basso rischio di lesioni a carico di organi bersaglio in presenza (c) o in assenza (nc) di evidenti complicazioni extrarenali. 160-179 110-119 20-40 Moderato rischio di lesioni a carico di organi bersaglio in presenza (c) o in assenza (nc) di evidenti complicazioni extrarenali. ≥180 ≥120 ≥40 Alto rischio di lesioni a carico di organi bersaglio in presenza (c) o in assenza (nc) di evidenti complicazioni extrarenali. Come per la proteinuria, anche questa sottostadiazione dei cani e dei gatti con CKD richiede la dimostrazione della persistenza dei valori pressori all’interno di una particolare categoria, soprattutto laddove non emergano chiari segni clinici di lesioni 43 organiche extrarenali. Si procede, allora, a misurazioni seriali della pressione arteriosa sistemica da effettuare con la seguente cadenza temporale: • 2 mesi in pazienti a rischio moderato (pressione sistolica=160-179 mmHg); • 1 o 2 settimane in pazienti a rischio alto (pressione sistolica≥ 180 mmHg). D’altronde, qualora siano già evidenti danni a carico degli organi bersaglio, non occorre attestare la persistenza dell’ipertensione, semmai diventa prioritario intraprendere immediatamente il trattamento ritenuto più opportuno per rallentare la progressione delle lesioni.(15) 44 3. Epidemiologia dell’IRC 3.1 Concetti epidemiologici In considerazione del carattere prevalentemente epidemiologico del nostro lavoro, prima di illustrare i dati raccolti circa l’attuale distribuzione dell’insufficienza renale cronica nel panorama medico mondiale, umano e veterinario, riteniamo opportuno fornire alcune basilari definizioni. 3.1.1 Definizione di epidemiologia L’epidemiologia (parola composta di origine greca che, letteralmente, significa “discorso riguardo alla popolazione”) è stata oggetto di varie definizioni formulate da illustri scienziati (Maxcy, Last, Detels….etc) tra le quali, però, scegliamo di riportare la più semplice e comprensibile a chi, per la prima volta, si approccia alla materia: “L’epidemiologia è lo studio della frequenza, della distribuzione e dei determinanti di salute/malattia all’interno di una popolazione”. Nella suddetta definizione, individuiamo cinque parole chiave: 1. Frequenza: QUANDO e QUANTO SPESSO la malattia compare. 2. Distribuzione: DOVE la malattia è presente e quali caratteristiche possiede la popolazione ospite. 3. Determinanti: tutti quei fattori la cui alterazione induce un cambiamento nella frequenza o nei caratteri di una malattia. 4. Salute/malattia: l’epidemiologia studia i soggetti ammalati a confronto con i soggetti sani. Esistono, infatti, anche i determinanti di salute (fattori che contribuiscono a mantenere in salute l’individuo o, se ammalato, a farlo guarire) indagati dall’epidemiologo al pari dei determinanti di malattia. 5. Popolazione: insieme di individui accomunati da uno o più attributi scelti secondo criteri arbitrari ma utili ai fini dello studio che si intende eseguire. Stabilendo appropriate regole di inclusione/esclusione (in genere: chi o che cosa, dove e quando), è importante definire con precisione la popolazione da studiare la quale può essere costituita da un numero finito (piccolo o grande) o infinito 45 (popolazione indeterminata) di elementi, non necessariamente esistenti o dello stesso tipo. È interessante sottolineare che lo studio epidemiologico, a differenza di quanto avviene per altre discipline, si realizza esclusivamente a livello collettivo, di popolazione e non individuale. In epidemiologia, infatti, la malattia nel singolo soggetto non assume alcun significato: ciascun elemento acquisisce importanza solo in quanto parte di una collettività, sia questa umana o animale.(19) 3.1.2 Misure di frequenza delle malattie Dei cinque concetti cardine della definizione di epidemiologia, intendiamo approfondire quello di frequenza il quale, senz’altro, riveste un ruolo centrale nell’analisi retrospettiva che ci apprestiamo a compiere. Una delle fondamentali attività dell’epidemiologo, infatti, consiste nella quantificazione delle malattie e dei fenomeni ad esse correlati, dato che la conoscenza del numero di individui ammalati o infetti in una popolazione è indispensabile per stimare i danni, prevedere l’evoluzione nel tempo della malattia , nonché mettere a punto azioni di profilassi. Esprimere tali quantità in valore assoluto, però, raramente è utile in epidemiologia dove, per ottenere dati utilizzabili ed interpretabili, si è soliti ricorrere a “proporzioni” e “tassi”. Le prime si configurano come misure statiche, effettuate in un determinato istante e nelle quali non viene considerata la variabile tempo. I tassi, invece, sono misure dinamiche, capaci di descrivere la variazione di una quantità in funzione di un’altra (generalmente, il tempo). Proporzioni e tassi, nel nostro studio, sono rappresentati, rispettivamente, da prevalenza e incidenza. La prevalenza, metaforicamente associata alla fotografia dell’evento ricercato (nel nostro caso, la malattia), misura la proporzione di individui ammalati in una popolazione in un dato momento. Essa, perciò, si calcola come: N° soggetti ammalati / (N° soggetti ammalati + N° soggetti “a rischio”) dove i soggetti “a rischio” non sono quelli esposti a uno o più determinanti di malattia, bensì, più semplicemente, quelli ancora sani ma suscettibili di ammalarsi. L’incidenza, a sua volta metaforicamente figurata come il film del fenomeno studiato, misura il numero dei nuovi casi di malattia che si verificano in una popolazione in un 46 certo lasso di tempo. Essa assume, dunque, il significato di un vero e proprio tasso in grado anche di individuare la probabilità di ammalarsi cui è soggetto un individuo esposto nella popolazione esaminata. L’incidenza si calcola come: N° nuovi casi in Δt / (N° nuovi casi in Δt + Popolazione “a rischio” in Δt) dove Δt indica il periodo di tempo durante il quale è stata effettuata l’osservazione. La sua durata, del tutto discrezionale, viene, generalmente, fissata in base alle caratteristiche evolutive e di diffusione della malattia oggetto di indagine.(19) Per sindromi come la CKD, ad evoluzione cronico-progressiva, il calcolo dell’incidenza sarà eseguito su un lasso temporale nell’ordine di anni. 3.2 Dati relativi all’IRC nell’uomo La comunità medico-scentifica internazionale è, ormai, unanime nel riconoscere alla Malattia Renale Cronica (MRC o CKD) un ruolo di vera e propria emergenza sociale. Essa, infatti, rappresenta un problema di salute pubblica di prima grandezza globale, non più riguardante il solo mondo occidentale ma estesa anche ai paesi in via di sviluppo nei quali vanno imponendosi gli stessi fattori di rischio da tempo stabilitisi presso le società “del benessere”. In particolare, si individuano come principali fattori di rischio per lo sviluppo e/o la progressione della CKD: – Ipertensione – Diabete – Età – Obesità – Malattie cardiovascolari – Fumo – Storia familiare di malattie renali – Malattie autoimmuni. Inoltre, il generale allungamento della vita media e l’evoluzione lenta ma inesorabile del danno renale fanno sì che la malattia, spesso, proceda silente e indisturbata per anni, rendendone la diagnosi tardiva (o, addirittura, mancata) per la comparsa di sintomi specifici solo in fase avanzata. Una volta raggiunto lo stadio terminale di insufficienza d’organo, gli unici trattamenti attuabili sono la dialisi ed il trapianto di rene i quali 47 comportano, però, costi elevati a fronte di risultati clinici scarsi ed insoddisfacenti. L’aumento della prevalenza e dell’incidenza della CKD, l’onerosa spesa sanitaria nazionale richiesta dalle suddette terapie sostitutive nonché l’evidenza che le complicazioni e gli esiti avversi della malattia renale cronica (soprattutto le malattie cardiovascolari e la morte prematura) possono essere effettivamente prevenuti o ritardati, hanno reso primaria e stringente l’esigenza di una sistematica campagna di diagnosi precoce dell’insufficienza renale cronica su scala mondiale. Infatti, l’individuazione, tramite semplici test di laboratorio, il trattamento e la corretta gestione dei pazienti ai primi stadi di MRC consentono di rallentare la progressione della malattia, di scongiurare il suo avanzamento fino allo stadio terminale e di evitare o, almeno, di limitare lo sviluppo delle sue deleterie complicanze (ipertensione, anemia, malnutrizione, osteopatie, neuropatia…) e dei suoi esiti avversi, talvolta fatali (le malattie cardiovascolari, ad oggi, rappresentano la prima causa di morte dei soggetti affetti da insufficienza renale cronica, spesso neppure diagnosticata prima del decesso), ottenendo così un sensibile aumento dell’efficacia, sia clinica che socio-economica, dell’azione medica nei confronti di questa crisi sanitaria globale. Nonostante ciò, gli studi epidemiologici in merito alla CKD sono stati a lungo trascurati e poco approfonditi. Solo negli ultimi anni, la consapevolezza che la conoscenza della sua reale prevalenza costituisce il primo importante passo per l’elaborazione e l’attuazione di un valido programma di prevenzione, in grado di ridurre anche la morbilità e la mortalità cardiovascolare, ha catalizzato sforzi convergenti di ricercatori clinici di varie aree specialistiche (nefrologia, cardiologia, diabetologia…) e nazionalità. I dati ottenuti nelle singole realtà nazionali sono molto variegati ed in continua evoluzione non solo in ragione della diversa distribuzione dei noti fattori di rischio ma anche delle differenze di età, sesso, razza ed estrazione sociale. Sembra, infatti, che la malattia renale cronica interessi maggiormente gli anziani, rispetto ai giovani, gli uomini rispetto alle donne, i neri rispetto ai bianchi e le persone con basso livello di istruzione e, quindi, con minore attenzione verso il proprio stato di salute. Riportiamo, a titolo di esempio, alcune stime di prevalenza della malattia: • USA → 17% adulti nel periodo 1999-2004 con MRC; (20) • Nord America → 9,6% adulti nel periodo 1999-2004 con IRC; (20) • UK → 10% della popolazione adulta con IRC moderata (2007); (21) (22) 48 • Paesi Bassi (Groningen), Spagna (nord), Irlanda, Inghilterra → 12% popolazione con malattia renale (2005 e 2007); (21) (22) (23) (24) • USA → 8% popolazione con MRC (2002); (25) • Islanda → 0,3% popolazione con MRC (2002); (26) • Repubblica Democratica del Congo (Kinshasa) → 12,4% adulti con CKD (2008); (27) • Australia → 18% adulti con almeno un indicatore di malattia renale cronica (2005); (28) • Taiwan → 11,93% popolazione adulta con CKD nel periodo 2004-2006; (29) • Pacifico orientale (10 nazioni) → prevalenza e incidenza ESRD (End Stage Renal Disease), rispettivamente, da 4,2% a 17,3% e da 1,2% a 14,1% nel periodo 1998-2000; (30) • USA → 11% adulti con malattia renale cronica (2006-2007). (31) (32) Questa breve elencazione intende solo dare testimonianza della crescente mobilitazione delle comunità medico-scientifiche di tutto il mondo nei confronti della CKD, specialmente nel corso dell’ultimo decennio. Figura 1 (33) 49 Sebbene l’impegno nella lotta alla Malattia Renale Cronica si attesti, ormai, su scala mondiale, i maggiori sforzi in tal senso e, soprattutto, le principali iniziative di cooperazione internazionale provengono dal continente americano e, in particolare, dagli USA dove, nell’ambito del piano “US Healty People 2010”, operano i seguenti programmi: o NKF-Kidney Early Evaluation Program (KEEP) o National Kidney Disease Education Program (NKDEP) o NIH-NIDDK Chronic Renal Insufficiency Cohort Study (CRIC) o CDC (Center for Disease Control and Prevention): “CKD A public healt problem that needs public healt action”. (33) 3.2.1 National Kidney Foundation (NKF) La National Kidney Foundation costituisce la più importante organizzazione sanitaria statunitense impegnata nel prevenire le malattie renali e urologiche, nel migliorare la salute ed il benessere degli individui e delle famiglie colpite da tali patologie e nell’aumentare la disponibilità di organi per i trapianti di rene. (32) Nel 1997 essa ha dato avvio al Dialysis Outcome Quality Inititive (DOQI) con l’intento di mettere a punto linee guida di pratica clinica in quattro aree: emodialisi, dialisi peritoneale, accesso vascolare e gestione dell’anemia. Successivamente, l’elaborazione di simili direttive è andata estendendosi anche alle malattie renali dialisi-indipendenti, cosicché il programma ha mutato il suo nome in Disease Outcomes Quality Initiative (KDOQI). Queste iniziative hanno avuto indubbiamente un impatto significativo sulla disciplina nefrologica, in quanto hanno promosso ed incoraggiato un intenso dibattito circa il corretto trattamento dei pazienti affetti da nefropatie, hanno quasi certamente ridotto l’eterogeneità nell’esercizio clinico ed hanno posto le basi per la futura ricerca, fornendo definizioni e parametri di riferimento. La NKF ha, così, assunto, a livello internazionale, un ruolo di vero e proprio “apripista” nell’approccio clinico, finalmente, coerente e metodico alle malattie renali e, in particolare, alla CKD, ispirando lo sviluppo di specifiche linee guida in materia anche da parte dell’European Renal Association e European Dialysis and Transplant Association (ERA-EDTA) e di altri singoli Paesi, quali il Regno Unito, l’Australia ed il Canada.(34) 50 L’applicazione dei programmi istituiti e promulgati dalla National Kidney Foundation negli USA, fin da subito, ha evidenziato come un’efficace lotta alla IRC non possa dissociarsi da un adeguato e puntuale piano di diagnosi precoce. Proprio con questo scopo, nel 2003 nasce il primo Kidney Early Evaluation Program (KEEP), un programma di screening completamente gratuito, offerto dalla NKF e progettato per individuare i soggetti “a rischio” di sviluppare malattie renali e coloro i quali sono già nelle fasi iniziali delle stesse, quando l’attuazione di un appropriato trattamento può ancora rallentarne, arrestarne o, perfino, invertirne la progressione. Sono considerate “a rischio” e, pertanto, sono invitate a partecipare alla campagna di screening le persone di almeno 18 anni di età aventi una o più delle seguenti condizioni: – Diabete; – Ipertensione; – Un genitore, un fratello o una sorella con diabete, ipertensione o malattia renale. Gli obiettivi perseguiti dal programma KEEP sono: • Sensibilizzare l’opinione pubblica e, soprattutto, gli individui “ad alto rischio” circa l’emergenza sanitaria della CKD; • Fornire un test (basato su semplici esami del sangue e delle urine) di diagnosi precoce per le persone a maggior rischio di sviluppare malattie renali; • Spronare i soggetti “a rischio” a farsi visitare da un medico e a seguire il trattamento consigliato; • Educare le persone “a rischio” a prevenire o ritardare i danni renali; • Offrire riferimenti medici per il follow-up (se necessario); • Garantire ai cittadini informazioni e assistenza continua. Dal primo rapporto KEEP 2003 emerge che la totalità dei soggetti scrinati (oltre 11.000) possiede almeno una delle due principali cause di nefropatie (diabete ed ipertensione) e che il 50% di loro mostra segni di danno renale, sebbene solo il 3% dichiari di esserne a conoscenza. I dati raccolti, oltre a confermare la rilevanza dei noti fattori di insorgenza/progressione delle malattie renali (25% diabetici, 50% ipertesi, circa 17% con entrambe le condizioni e oltre il 75% in sovrappeso od obesi) mettono in luce la maggiore probabilità di riscontrare anemia tra i partecipanti al programma di screening, rispetto alla popolazione generale, in particolare tra le donne e tra le persone di colore. 51 Nel terzo rapporto KEEP 2005 si confermano gli stessi risultati (50% dei partecipanti affetti da CKD con solo il 2% a conoscenza della propria condizione; 30% obesi, 50% ipertesi e 77% in sovrappeso od obesi), segnalando, però, la scarsa sensibilizzazione dell’opinione pubblica verso il problema e la noncuranza di molti medici che trattano il diabete e l’ipertensione come disturbi assestanti, trascurandone, invece, la fondamentale importanza come fattori di rischio per l’insufficienza renale. (32) 3.2.2 Kidney Disease: Improving Global Outcomes (KDIGO) La presente trattazione non può esimersi dal riservare una menzione particolare al progetto KDIGO (Kidney Disease: Improving Global Outcomes), un’organizzazione indipendente senza fini di lucro sorta, nel 2003, da una cooperazione internazionale promossa dalla National Kidney Foundation. Essa nasce con l’esplicita missione di migliorare la cura e le risposte dei pazienti nefropatici di tutto il mondo, attraverso il coordinamento, la collaborazione e l’integrazione delle iniziative per lo sviluppo ed il perfezionamento di linee guida di pratica clinica.(34) Gli sforzi dell’organizzazione si sono concentrati primariamente nell’affrontare le questioni attinenti la definizione dell’insufficienza renale e l’elaborazione di una classificazione unica, semplice e applicabile su scala globale. Gli esperti aderenti all’iniziativa hanno prodotto una classificazione delle malattie renali, basata su esami semplici e poco costosi (GFR o VGF calcolato a partire dalla creatinina plasmatica, esame delle urine, ecografia, alcuni esami ematici), che è stata accettata ed è correntemente adottata dalle maggiori società nefrologiche nazionali. Tale classificazione offre il vantaggio di effettuare rilevazioni epidemiologiche coerenti e confrontabili in varie realtà sanitarie, permettendo di studiare su vasta scala le dimensioni del fenomeno CKD e le sue dinamiche spaziali e temporali.(35) A nostro avviso, KDIGO costituisce, nell’ambito della ricerca medica e nefrologica umana, ciò che IRIS (International Renal Interest Society) rappresenta per la Medicina Veterinaria applicata, in particolare, al cane e al gatto. Pertanto, nello svolgimento del nostro studio retrospettivo sull’IRC canina e felina, riteniamo utile e interessante accennare, in parallelo, alla definizione e alla classificazione dell’insufficienza renale attualmente in uso in Medicina Umana, nonché ad alcuni significativi dati epidemiologici ottenuti dalla ricognizione KDIGO a livello planetario. 52 La comunità scientifica internazionale definisce la Malattia Renale Cronica secondo i seguenti criteri: 1. Presenza di danno renale da oltre 3 mesi, a sua volta, definita da alterazioni strutturali o funzionali del rene instauratasi, accompagnate, o meno, da diminuzione della GFR ed evidenziate dalla presenza di: – Alterazioni patologiche renali o – Markers di danno renale, quali anomalie del sangue o delle urine (proteinuria, microalbuminuria, ematuria) o delle indagini morfologiche (ecografia, TAC, RMN, etc) 2. GFR >< 60 mL/min/1,73 m2 per oltre 3 mesi, con o senza danno renale. (36) Mentre il sistema di stadiazione della CKD, contemplato dalle più recenti linee guida KDIGO, si articola come illustrato dalla Tabella 1. Tabella 1: Classificazione KDIGO della CKD (36) Danno renale NO Danno Renale Ipertensione* NO Ipertensione GFR (mL/min/1,73 m2 ) Ipertensione* NO Ipertensione I I ≥90 (normale o aumentata) Ipertensione Normale II II 60-89 (lieve diminuzione) Ipertensione con êGFR êGFR III III 30-59 (moderata diminuzione) III III IV IV 15-29 (grave diminuzione) IV IV V V <15 o dialisi (insufficienza renale) V V Le aree colorate designano i vari stadi di malattia renale cronica. * Ipertensione: Pressione Sistolica Media≥ 140 mmHg e Pressione Diastolica Media≥ 90 mmHg Al contrario di quanto previsto dall’IRIS Staging System per il cane e per il gatto, il principale parametro per la classificazione della malattia renale cronica nell’uomo è rappresentato dalla Velocità di Filtrazione Glomerulare (VGF) o Glomerular Filtration Rate (GFR), le cui stime costituiscono, senz’altro i migliori indici complessivi della funzionalità renale. Il metodo classico per la loro determinazione, cioè il calcolo della clearence della creatinina (GFR= UCrea x V / PlCrea), a causa della sua scarsa affidabilità per l’alta probabilità di errori nella determinazione del volume urinario, è stato ormai sostituito dall’impiego di equazioni di previsione le quali tengono conto non solo della 53 concentrazione sierica di creatinina, ma anche di alcune o di tutte le variabili (età, sesso, razza e superficie corporea) a cui, invece, si imputa la ridotta attendibilità della creatininemia come parametro di funzionalità renale. Le due principali equazioni di stima della GFR sono la formula di Cockroft-Gault e la formula MDRD, derivata dallo studio “Modification of Diet in Renal Disease”, la cui versione semplificata (sMDRD o simplified MDRD) risulta ad oggi la più utilizzata. sMDRD→ Stima GFR (mL/min/1,73 m2 )= 186 x (SCrea) -1,154 x (Età)-0,203 x K1 x K2 dove SCrea= [creatinina sierica]; K1= 1,210 se razza nera, =1 se razza bianca; K2= 0,742 se femmina, =1 se uomo. L’equazione MDRD semplificata risulta affidabile, non è influenzata dai dati antropometrici, né dalla variabilità della massa muscolare o lipidica e fornisce un valore di VGF già rapportato alla superficie corporea e che, pertanto, non richiede calcoli aggiuntivi.(36) L’applicazione delle linee guida KDIGO, a distanza di tre anni dall’istituzione dell’organizzazione no-profit, ha permesso di ottenere risultati sorprendenti, ed insieme allarmanti, circa l’epidemiologia dell’IRC nell’uomo (Figure 2 e 3 ). Figura 2 (37) 54 Figura 3 (37) 3.3 Dati relativi all’IRC nel cane e nel gatto Sebbene nel cane e nel gatto l’insufficienza renale cronica sia riconosciuta quale comune causa di malattia e di morte, in particolare nel gatto anziano, gli studi epidemiologici a riguardo non sono numerosi né ben organizzati e diretti come per l’uomo. Al contrario, essi si mostrano scarsi, per lo più limitati a realtà locali, poco aggiornati e, soprattutto, tuttora privi di un’effettiva supervisione e coordinazione internazionale in grado di orientarli verso il comune obiettivo di un’efficace lotta alla CKD anche negli animali d’affezione. Infatti, se, da un lato, le maggiori aspettative di vita dei pets rappresentano un indubbio e felice traguardo non solo per la Medicina Veterinaria ma per l’intera umanità, dall’altro lato, esse espongono inevitabilmente i nostri beniamini ad un crescente rischio di patologie tipicamente geriatriche. Tra queste ultime, cosi come in Medicina Umana, si colloca l’insufficienza renale cronica la cui prevalenza si stima compresa tra 0,5 e 7% 55 nel cane e tra 1,6% e 20% nel gatto.(38) D’altronde, è ragionevole pensare che, proprio in ragione dell’invecchiamento della popolazione canina e felina, i suddetti dati siano destinati ad aumentare, fino a far acquisire all’IRC i connotati di un’emergenza sanitaria anche in campo veterinario. I principali studi epidemiologici sull’insufficienza renale cronica degli animali d’affezione riflettono il panorama anglosassone (soprattutto statunitense) e mostrano come l’insufficienza renale cronica, in realtà, si riscontri con frequenza variabile in pazienti di ogni età. In uno studio retrospettivo condotto su gatti affetti da CKD, il 53% dei soggetti colpiti aveva oltre 7 anni, con un intervallo compreso tra 9 mesi e 22 anni (Di Bartola, Rutgers, Zack, et al, 1987).(39) In un’indagine riguardante la distribuzione della nefropatia cronica secondo l’età, basata sui dati pervenuti al Veterinary Medical Data Base della Purdue University tra il 1980 ed il 1990, il 37% dei gatti con insufficienza renale aveva meno di 10 anni, il 31% aveva un’età compresa tra 10 e 15 anni, mentre il 32% aveva oltre 15 anni (Lulich, Osborne, O’Brien, et al, 1992).(40) Analogamente, in uno studio su 80 gatti affetti da CKD risalente al 1998, l’età media era di 12,6 anni in un intervallo compreso tra 1 e 26 anni (Elliot, Barber, 1998).(41) Nel 1990 si è rilevata una prevalenza di nefropatia tra gatti di ogni età di 16 casi ogni 1000 soggetti esaminati; tra i gatti di oltre 10 anni essa risultava pari a 77 casi ogni 1000 soggetti esaminati e a ben 153 casi ogni 1000 tra i gatti di età superiore ai 15 anni.(39) Le razze feline nelle quali la malattia è diagnosticata con maggior frequenza sono il Main Coon, l’Abissino, il Siamese, Il Blu di Russia ed il Burmese.(38) Sebbene i cani appaiano generalmente meno colpiti dei gatti da insufficienza renale, l’incidenza della patologia conosce un incremento rispetto all’età del tutto analogo nelle due specie. Sulla base dei dati inoltrati al Veterinary Medical Data Base della Purdue University tra il 1983 ed il 1992, il 18% dei cani con insufficienza renale aveva meno di 4 anni, il 17% aveva un’età compresa tra 4 e 7 anni, il 20% tra 7 e 10 anni ed il 45% dei soggetti aveva oltre 10 anni. In questo periodo, la prevalenza della CKD tra i cani di ogni età era di 9 casi ogni 1000 soggetti esaminati; essa si attestava su 12,5 casi ogni 1000 soggetti 56 esaminati tra i cani di età compresa tra 7 e 10 anni, su 24 casi ogni 1000 soggetti esaminati tra i cani di età compresa tra 10 e 15 anni e su 57 ogni 1000 soggetti esaminati tra i cani di età superiore ai 15 anni.(38) Ricerche e indagini di diversa provenienza hanno contribuito ad approfondire ulteriori ed interessanti aspetti dell’epidemiologia dell’IRC canina e felina. La facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università di Brno (Repubblica Ceca) ha realizzato uno studio retrospettivo su 1099 pazienti (935 cani e 164 gatti), pervenuti al Dipartimento di Medicina Interna della clinica universitaria dal 1999 al 2001, con lo scopo di determinare la prevalenza delle diverse tipologie di insufficienza renale (IRA, IRC e forme di acutizzazione di IRC) tra gli animali d’affezione della Repubblica Ceca. Il criterio di inclusione nello studio era il riscontro di una persistente iperazotemia intrarenale, requisito soddisfatto da 139 animali (12,7%), di cui 111 cani (11,9%) e 28 gatti (17,1%), i quali sono stati sottoposti ad ulteriori e più approfondite analisi per la differenziazione del tipo di nefropatia da cui erano affetti (Tabella 5). Il 34,2% dei cani è stato classificato come IRA, il 31,6% come IRC e, ancora, il 34,2% come IRA da sottostante IRC. Per quanto riguarda i gatti, invece, solo il 3,5% dei casi corrispondeva a IRA (un solo paziente), mentre il 64,3% era ascrivibile a IRC e il 32,2% a forme di acutizzazione di IRC. Inoltre, l’età media dei cani con IRA era di 9,2 anni mentre sia i cani con IRC che quelli interessati da riacutizzazione di nefropatie croniche avevano, mediamente, 8,7 anni. L’età media dei gatti con IRC era di 10,4 anni e quella dei gatti con IRA da sottostante IRC era di 7,3 anni; l’età (14 anni) dell’unico gatto con IRA è stata, ovviamente, esclusa dall’indagine statistica.(42) Tabella 2: Prevalenza dei differenti tipi di insufficienza renale canina e felina(42) 57 Uno studio francese sull’epidemiologia delle cause di morte e sulle aspettative di vita dei carnivori domestici attestava la notevole rilevanza che la CKD, già nel 2002, andava assumendo quale emergenza sanitaria veterinaria. L’indagine si è basata sui dati forniti, nel corso del 1999, dal centro di smaltimento di Beauvoir in Cambrésie, cui afferivano 15 cliniche veterinarie, e ha preso in considerazione 1044 animali, di cui 785 cani (75%) e 259 gatti (25%). Escludendo le morti naturali, è emerso che il 63,7% dei soggetti era deceduto a causa di malattie, delle quali le affezioni organiche croniche rappresentavano il 45% (28,6% del totale); tra queste, l’insufficienza renale cronica si collocava al primo posto con il 30,1% dei casi di mortalità rilevati nelle due specie. L’aspettativa di vita di 11,8 anni, ad essa associata, richiamava l’esigenza di prevenire o, almeno, di ridurre le conseguenze dell’invecchiamento attraverso interventi di diagnosi precoce attuati a partire dall’età di 8 anni, quando prende avvio la seconda fase della vita per la maggior parte dei pets.(43) Allo scopo di individuare i migliori orientamenti di profilassi nelle due specie, gli stessi autori, basandosi sulle medesime fonti, hanno completato il precedente lavoro con un secondo studio comparativo sulle cause di morte e sulle aspettative di vita nei carnivori domestici. Si è, così, riscontrato che il 65,6% dei cani e il 57,9% dei gatti era deceduto in seguito a malattie e che, tra queste ultime, l’insufficienza renale cronica rappresentava una causa di morte più frequente nei gatti (18,7% dei decessi per patologie) rispetto ai cani (12% dei decessi per patologie).(44) L’accertamento di una maggiore prevalenza di CKD nei gatti e, in particolare in quelli di oltre 15 anni (40), ha promosso la realizzazione di uno studio prospettivo australiano sull’insufficienza renale cronica di eziologia sconosciuta in una popolazione felina di Sidney. Oggetto dell’indagine sono stati 184 gatti (85 maschi e 99 femmine) reclutati, nel periodo 2000-2003, dall’University Veterinary Centre, dal Paddington Cat Hospital e dall’Inner West Veterinary Hospital e selezionati per creatininemia elevata, per peso specifico urinario inferiore alla norma, per rilievi clinici e necroscopici compatibili con IRC o con proteinuria di origine renale e, soprattutto, per la mancanza di una diagnosi eziologica della nefropatia. L’età media dei soggetti esaminati era di 13,2 anni (con un intervallo compreso tra 2 e 21 anni) ed i maschi risultavano significativamente più giovani delle femmine (età media, rispettivamente, di 12 e 15 anni). (Tabella 3 e Figura 4) 58 Tabella 3: Confronto delle variabili sesso ed età nei gatti con CKD (esclusi dall’analisi statistica i soggetti >18 anni) (45) Figura 4: Distribuzione dell’insufficienza renale cronica rispetto al sesso e all’età nei 184 gatti esaminati (45) Nella popolazione indagata, i gatti di razza (compresi gli incroci) erano 65, gli altri erano 119 e, in entrambi i gruppi, l’età media si attestava sui 14 anni. Tuttavia, a differenza di quanto segnalato dai precedenti studi americani (40), nessuna razza felina era significativamente più rappresentata delle altre.(45) Nonostante in campo veterinario non sia stata ancora attuata una ricognizione globale sullo stato dell’epidemiologia dell’IRC canina e felina, l’IRIS (International Renal Interest Society), su richiesta di Novartis Animal Healt, ha recentemente messo a punto 59 un progetto pilota finalizzato a realizzare un’analisi descrittiva delle popolazioni di cani e gatti con sospetta malattia renale cronica. L’organizzazione invita tutti i medici veterinari a contribuire al programma epidemiologico, da poco avviato, fornendo i casi d’interesse attraverso un’apposita funzione on-line creata dal gruppo IRIS per agevolare la raccolta di dati. I primi risultati del progetto, basati su 921 casi presentati, hanno permesso di valutare l’applicabilità e l’adeguatezza dell’IRIS Staging System e di delineare le caratteristiche dei pazienti canini e felini affetti da CKD.(15) 60 PARTE SPECIALE 61 4. Scopo del lavoro Lo scopo del presente lavoro consiste nel valutare la prevalenza e l’incidenza dell’insufficienza renale cronica del cane e del gatto sulla base dell’esperienza acquisita presso il Dipartimento di Clinica Veterinaria dell’Università di Pisa nel decennio 2001- 2010. Più dettagliatamente lo studio ha inteso misurare, in entrambe le specie, la prevalenza e l’incidenza della malattia sul totale dei pazienti visitati, la prevalenza del sesso, dell’età, della razza nei soggetti affetti da IRC, la prevalenza e l’incidenza delle diverse classi IRIS tra i cani e tra i gatti con insufficienza renale cronica. Ritenendo fondamentale il contributo apportato dall’ecografia addominale nell’iter diagnostico della CKD, abbiamo, inoltre, studiato la frequenza dell’impiego dell’esame ecografico nei pazienti canini e felini interessati dalla malattia nel periodo 2008-2010, segnalando, in particolare, le lesioni renali più ricorrenti nelle due specie. L’obiettivo finale perseguito dalla nostra indagine retrospettiva è quello di apportare un contributo alle conoscenze epidemiologiche sull’insufficienza renale cronica del cane e del gatto, convinti che proprio tali conoscenze costituiscano le basi per prevenire la nefropatia, per rallentare la sua inevitabile progressione verso lo stadio terminale e per evitare o, almeno, per limitare le sue deleterie complicazioni. 62 5. Materiali e metodi Lo studio ha preso in considerazione i cani e i gatti di proprietà presentati per visita clinica presso il Dipartimento di Clinica Veterinaria (dal 1° Gennaio 2010 sede dell’Ospedale Didattico Veterinario “Mario Modenato”) dell’Università di Pisa nel periodo compreso tra il Gennaio 2001 e il Dicembre 2010. Su un totale di 18340 cani e di 3418 gatti, sono stati identificati i pazienti affetti da insufficienza renale cronica (1224 cani e 881 gatti) mediante valutazione anamnestica, clinica, dell’urea (BUN> 60 mg/dL nel cane e BUN> 65 mg/dL nel gatto) e della creatinina plasmatica (Crea> 1,4 mg/dL nel cane e Crea> 1,6 mg/dL nel gatto). L’elencazione completa dei casi di IRC canina e felina, ordinati anno per anno, è riportata in Appendice. I soggetti di entrambe le specie, così individuati, sono stati, quindi, suddivisi, annualmente, in base al sesso, alla razza, all’età e al livello di gravità della nefropatia. Per quanto riguarda la ripartizione secondo la razza, la grande varietà e frammentazione etnologica, riscontrata soprattutto tra i cani, ha reso necessario raggruppare sotto la voce “Altre” le razze che, nell’anno in esame, erano rappresentate da meno del 5% degli animali. Le fasce d’età in cui sono stati distribuiti i cani e i gatti con IRC corrispondono agli intervalli: – ≤ 5anni – 6< anni< 10 – ≥ 10 anni. Occorre, però, sottolineare che i dati segnaletici relativi al periodo 2007-2010, raccolti dall’archivio elettronico della Clinica Veterinaria, si sono mostrati talvolta incompleti, in particolare per quanto attiene la razza e la data di nascita (età) dei pazienti. Nell’analisi degli anni nei quali si sono verificate tali lacune, andiamo, comunque, a specificare la carenza di informazioni e le conseguenze sulle misure di frequenza calcolate. La suddivisione dei casi secondo il livello di gravità della malattia renale è avvenuta in base a quanto previsto dall’IRIS Staging System il cui primo e principale parametro di riferimento è rappresentato dalla concentrazione della creatinina plasmatica.(15) 63 Tuttavia, trattandosi di un’indagine epidemiologica condotta su popolazioni canine e feline con diagnosi certa di insufficienza renale cronica, la nostra classificazione ha interessato i soli stadi IRIS II, III e IV (Tabella 1). Per entrambe le specie, si è proceduto, quindi, al calcolo di ! prevalenza annuale dei casi di CKD sul totale dei soggetti presentati per visita clinica presso il Dipartimento Prevalenza annuale IRC canina/felina = n°cani/gatti con IRC : totale cani/gatti visitati × 100 ! prevalenza del sesso nei pazienti affetti da CKD nell’anno in esame Prevalenza annuale del sesso = n° maschi/femmine con IRC : n° casi IRC dell’anno × 100 ! prevalenza della razza nei pazienti affetti da CKD nell’anno in esame Prevalenza annuale della razza = n°soggetti di ogni razza : n° casi IRC dell’anno × 100 ! prevalenza dell’età nei pazienti affetti da CKD nell’anno in esame Prevalenza annuale dell’età = n° soggetti di ogni fascia d’età : n° casi IRC dell’anno ×100 ! prevalenza delle diverse classi IRIS nei pazienti affetti da CKD nell’anno in esame Prevalenza annuale IRIS II/III/IV = n° soggetti IRIS II/III/IV : n° casi IRC dell’anno × 100 ! incidenza annuale dei casi di CKD Incidenza annuale IRC canina/felina = 64 nuovi casi : (nuovi casi + popolazione a rischio) × 100 dove popolazione a rischio = totale popolazione – nuovi casi – vecchi casi. ! incidenza annuale delle diverse classi IRIS Incidenza annuale IRIS II/III/IV = nuovi casi IRIS II/III/IV : (nuovi casi IRIS II/III/IV + popolazione a rischio) × ×100 dove popolazione a rischio = totale popolazione – nuovi casi IRIS II/III/IV + – vecchi casi IRIS II/III/IV. I dati necessari alla realizzazione dello studio (specie, razza, sesso, età, creatininemia e uremia) sono stati attinti da due diverse fonti: abbiamo estrapolato quelli relativi al periodo 2001-2006 da un precedente studio retrospettivo sull’insufficienza renale del cane e del gatto condotto presso lo stesso Dipartimento di Clinica Veterinaria (47), mentre le informazioni attinenti ai restanti quattro anni, 2007-2010, sono state recuperate dal programma OCIROE con il quale, tuttora, si gestisce l’archivio elettronico dell’Ospedale Didattico Veterinario. La discontinuità tra i dati raccolti dalla fonte cartacea e quelli ricavati dalla fonte elettronica ha impedito di creare una corrispondenza tra i casi provenienti dall’una e dall’altra parte, precludendo, così, la possibilità di ottenere le stime di incidenza (il cui calcolo richiede il confronto dello stato di salute/malattia di una popolazione tra due periodi consecutivi) per l’anno 2007. Per motivi del tutto analoghi, le stesse misure di frequenza non sono state determinate neppure per il 2001, primo anno oggetto della nostra indagine e, dunque, punto di partenza per il reperimento dei dati. A completamento dello studio, abbiamo, inoltre, valutato la significatività (p< 0,05) delle differenze rilevate nella distribuzione dei pazienti canini e felini all’interno delle tre classi IRIS nel corso del decennio e, a questo scopo, abbiamo applicato ai risultati ottenuti (prevalenza, incidenza e numero assoluto di soggetti) i test statistici chi-quadro (λ2 –test), ANOVA e Tukey’s post-test. Il presente lavoro ha esteso la ricerca epidemiologica all’impiego dell’ecografia quale tecnica strumentale di primo rilievo per la diagnosi dell’insufficienza renale cronica. Abbiamo, infatti, preso in considerazione i cani e i gatti affetti da IRC del triennio 2008- 2010 e, tramite il programma OCIROE, siamo risaliti a quanti di loro erano stati sottoposti ad ecoaddome presso il reparto di Diagnostica per Immagini della Clinica 65 Veterinaria dell’Università di Pisa. Quindi, abbiamo raggruppato i soggetti esaminati di entrambe le specie in sette categorie corrispondenti alle altrettante principali lesioni renali segnalate nei referti ecografici raccolti. (Tabella 2) Tabella 2: Lesioni renali più ricorrenti nei cani/gatti con insufficienza renale cronica del periodo 2008-2010. SEGNI ECOGRAFICI RENALI Nefropatia cronica PKD Displasia renale Neoplasia renale Idronefrosi/ Pielectasia Lievi alterazioni renali non significative Nessuna alterazione renale 2008 2009 2010 La categoria “Lievi alterazioni renali ecograficamente non significative” raccoglie tutti i casi di IRC canina e felina per i quali le conclusioni dell’esame ecografico non riportano la presenza di nefropatie, sebbene nel referto siano descritte piccole anormalità (leggera o moderata iperecogenicità corticale, giunzione cortico-midollare sfumata, modeste variazioni delle dimensioni renali…) a carico di uno o di entrambi i reni. Quindi, sia per i cani che per i gatti, si è proceduto al calcolo di: ! prevalenza annuale degli esami ecografici addominali eseguiti dal reparto di Diagnostica per Immagini interno alla Clinica Veterinaria universitaria sul totale dei pazienti affetti da CKD: Prevalenza annuale ecoaddome = n° cani/gatti sottoposti ad ecoaddome : totale cani/gatti con IRC × 100 ! prevalenza delle sette principali tipologie di reperti ecografici renali nei cani/gatti affetti da CKD nell’anno in esame: Prevalenza annuale singola lesione renale = n°referti riportanti lesione renale d’interesse : n° cani/gatti sottoposti ad ecoaddome × 100. 66 Infine, ricorrendo all’ANOVA-test e al Tukey’s post-test, abbiamo valutato l’esistenza di un’eventuale significativa differenza (p< 0,05) nel numero di pazienti canini e felini, di anno in anno (2008-2010), ascritti alle suddette categorie di diagnosi ecografica. L’elaborazione dei dati raccolti e la resa in forma grafica dei risultati ottenuti sono state realizzate mediante il programma Microsoft Excel® per Office 2008, mentre per le analisi statistiche sulle stime di prevalenza/incidenza è stato utilizzato il programma GraphPad® 5 per Macintosh. 67 6. Risultati Il capitolo si articola in quattro sezioni: ! presentazione delle stime epidemiologiche annuali e decennali sull’IRC del cane; ! presentazione delle stime epidemiologiche annuali e decennali sull’IRC del gatto; ! confronto interspecifico della prevalenza/incidenza dell’IRC canina e felina nel decennio; ! analisi statistiche sulla prevalenza/incidenza delle diverse classi IRIS nei cani e nei gatti con IRC; ! presentazione delle misure di frequenza sull’ecografia addominale nei cani e nei gatti con IRC e relative analisi statistiche. Abbiamo scelto di illustrare l’elaborazione dei dati sotto forma di tabelle e di grafici che, a nostro parere, permettono una più immediata e completa visualizzazione e comprensione dei risultati ottenuti sia per singoli anni che per l’intero decennio. 6.1 Cani Dei cani condotti per visita al Dipartimento di Clinica Veterinaria e, poi, all’Ospedale Didattico Veterinario, dal 2001 al 2010, il 6,67% è risultato affetto da insufficienza renale cronica. La prevalenza della malattia nell’anno 2001 è stata di 2,78% distribuito come mostrano le Figure 1-4. Figure 1-4 68 La prevalenza dell’IRC canina nell’anno 2002 è stata di 8,56% secondo la seguente distribuzione (Figure 5-8). Figure 5-8 Nel 2003 si è registrata una prevalenza di IRC canina pari al 5,02% ripartito come illustrato dalle Figure 9-12. Figure 9-12 69 La prevalenza dell’insufficienza renale cronica tra i cani del 2004 è stata di 4,69% secondo la seguente distribuzione (Figure 13-16). Figure 13-16 La prevalenza della malattia stimata per l’anno 2005 si attestava sul 5,40% così come mostrano le Figure 17-20. Figure 17-20 70 Nel 2006, il 4,58% dei cani sottoposti a visita clinica risultava affetto da insufficienza renale cronica con la seguente ripartizione (Figure 21-24). Figure 21-24 La prevalenza dell’IRC canina da noi calcolata per il 2007 era pari al 9,59% e la distribuzione della nefropatia all’interno della popolazione è illustrata dalle Figure 25- 28. Segnaliamo, tuttavia, che, a causa dell’incompletezza dei dati segnaletici riscontrata per l’anno in esame, le misure di frequenza riguardanti la razza e l’età non sono state determinate sul totale dei cani malati (155), bensì su quote, rispettivamente, di 153 e di 116 soggetti. 71 Figure 25-28 Nel 2008 la proporzione di cani con IRC corrispondeva al 7, 44% del totale dei pazienti canini visitati. Le Figure 29-32 descrivono, nel dettaglio, la frequenza annuale della malattia ma, per la mancanza di alcune informazioni, occorre considerare che i valori relativi all’età sono rapportati a 112 individui, anziché ai complessivi 122. Figure 29-32 72 La prevalenza dell’insufficienza renale cronica canina nel 2009 è stata di 8,62% distribuito come mostrano le Figure 33-36. Le stime di frequenza attinenti la razza e l’età sono state calcolate su frazioni di135 e 132 soggetti, anziché sul totale di 138 cani con IRC. Figure 33-36 Per i pazienti canini del 2010, infine, abbiamo determinato una prevalenza di insufficienza renale cronica pari al 9,68% secondo la ripartizione illustrata dalle Figure 37-40. Anche per l’ultimo anno del decennio, i dati segnaletici sono risultati incompleti e, pertanto, i valori riguardanti la razza e l’età sono riferiti, rispettivamente, a 236 e 234 individui, anziché ai complessivi 240. Figure 37-40 73 La Tabella 1 e la Figura 41 offrono uno sguardo d’insieme sull’andamento delle misure di frequenza dell’insufficienza renale cronica del cane nel corso dell’intero decennio. Il confronto intraspecifico tra la proporzione e il tasso di soggetti affetti da CKD consente di apprezzare, anno per anno, le differenze statiche (prevalenza) e dinamiche (incidenza) nello stato di salute/malattia della popolazione canina oggetto d’indagine. Tabella 1 CANI anno Prevalenza IRC (%) Incidenza IRC (%) 2001
- Gatti Nel periodo 2001-2010, il 25,78% dei gatti visitati presso il Dipartimento di Clinica Veterinaria e, poi, presso l’Ospedale Didattico Veterinario presentava insufficienza renale cronica. La prevalenza della malattia nell’anno 2001 è stata del 16,37% distribuito come mostrano le Figure 42-45. Figure 42-45 La prevalenza dell’IRC felina nel 2002 è stata del 26,90% secondo la seguente distribuzione (Figure 46-49). Figure 46-49 75 Nel 2003 si è registrata una prevalenza di IRC felina pari al 14,04% ripartito come illustrato dalle Figure 50-53. Figure 50-53 La prevalenza dell’insufficienza renale cronica tra i gatti del 2004 è stata di 23,10% secondo la seguente distribuzione (Figure 54-57). Figure 54-57 76 La prevalenza della malattia stimata per l’anno 2005 si attestava sul 25,15% così come mostrano le Figure 58-61. Figure 58-61 Nel 2006, il 22,81% dei gatti sottoposti a visita clinica risultava affetto da insufficienza renale cronica con la seguente ripartizione (Figure 62-65). Figure 62-65 77 La prevalenza dell’IRC felina da noi calcolata per il 2007 era pari al 21,84% e la distribuzione della nefropatia all’interno della popolazione è illustrata dalle Figure 66- 69. Segnaliamo, tuttavia, che, a causa dell’incompletezza dei dati segnaletici riscontrata per l’anno in esame, le misure di frequenza riguardanti l’età non sono state determinate sul totale dei gatti malati (57), bensì su una quota di 54 soggetti. Figure 66-69 Nel 2008 la proporzione di gatti con IRC corrispondeva al 27,44% del totale dei pazienti felini visitati. Le Figure 70-73 descrivono, nel dettaglio, la frequenza annuale della malattia ma, per la mancanza di alcune informazioni, occorre considerare che i valori relativi al sesso e all’età sono rapportati, rispettivamente, a 86 e 83 individui, anziché ai complessivi 87. 78 Figure 70-73 La prevalenza dell’insufficienza renale cronica felina nel 2009 è stata di 29,29% distribuito come mostrano le Figure 74-77. Le stime di frequenza attinenti la razza e l’età sono state calcolate su frazioni di 80 e 72 soggetti, anziché sul totale di 82 gatti con IRC. Figure 74-77 79 Per i pazienti felini del 2010, infine, abbiamo determinato una prevalenza di insufficienza renale cronica pari al 26,38% secondo la ripartizione illustrata dalle Figure 78-81. Anche per l’ultimo anno del decennio, i dati segnaletici sono risultati incompleti e, pertanto, i valori riguardanti la razza e l’età sono riferiti, rispettivamente, a 132 e 131 individui, anziché ai complessivi 134. Figure 78-81 La Tabella 2 e la Figura 82 offrono uno sguardo d’insieme sull’andamento delle misure di frequenza dell’insufficienza renale cronica del gatto nel corso dell’intero decennio. Il confronto intraspecifico tra la proporzione e il tasso di soggetti affetti da CKD consente di apprezzare, anno per anno, le differenze statiche (prevalenza) e dinamiche (incidenza) nello stato di salute/malattia della popolazione felina oggetto d’indagine. Tabella 2 GATTI anno Prevalenza IRC (%) Incidenza IRC (%) 2001
6.3 Confronto interspecifico Gli elaborati grafici riprodotti nella presente sezione evidenziano l’interessante confronto interspecifico circa l’andamento di prevalenza/incidenza dell’insufficienza renale cronica nei cani e nei gatti esaminati durante il decennio 2001-2010. Le Tabelle 1-2 e le Figure 83-84, in particolare, illustrano il notevole scarto tra le misure di frequenza dell’IRC canina e felina calcolate, di anno in anno, sul totale degli animali malati. Figura 83 Figura 84 Per un’analisi più dettagliata, di seguito andiamo, invece, a comparare le stime epidemiologiche ottenute per i cani e per i gatti relativamente alla suddivisione dei soggetti in base al sesso, all’età e alla classe IRIS. 82 Ci riserviamo di omettere, invece, i risultati riguardanti la razza che, nell’ambito di un confronto interspecifico, appaiono poco significativi. Le Tabelle 3-4 e le Figure 85-86 descrivono la diversa prevalenza del sesso nei casi di insufficienza renale cronica riscontrati nei cani e nei gatti visitati presso il Dipartimento di Clinica Veterinaria dal 2001 al 2010. La ripartizione degli animali malati nelle tre fasce d’età da noi identificate (≤ 5 anni; 6 < anni < 10; ≥ 10 anni) offre importanti spunti di riflessione per l’approccio diversificato alla CKD del cane e del gatto (Tabelle 5-6, Figure 87-88). 83 Tabelle 5, 6 Figure 87, 88 Informazioni di maggior rilievo possono essere dedotte, a nostro avviso, dal confronto interspecifico sulla prevalenza e sull’incidenza delle varie classi IRIS (II, III e IV) nei cani e nei gatti affetti da insufficienza renale cronica, così come illustrano le Tabelle 7- 10 e le Figure 89-92. 6.4 Analisi statistiche Per approfondire la conoscenza sul grado di insufficienza renale cronica negli animali d’affezione e per dotare di fondamento scientifico il trend empiricamente riscontrato nell’andamento del livello di gravità della malattia nel cane e nel gatto dal 2001 al 2010, abbiamo sottoposto le stime di prevalenza/incidenza relative alle classi IRIS II, III, IV ad alcuni test statistici. Il chi-quadro test, applicato ai valori di prevalenza annuale dei tre stadi IRIS, ha evidenziato differenze statisticamente significative nella distribuzione decennale delle stesse classi all’interno delle popolazioni canine e feline indagate, con p < 0,0001 sia per i cani che per i gatti (Figure 93 e 94). Figure 93, 94 Il medesimo test (λ2 -square) ha rilevato una differenza statisticamente significativa anche per quanto riguarda i valori di incidenza delle diverse classi IRIS nei pazienti esaminati nel corso del decennio, con p = 0,0036 per i cani e p = 0,0052 per i gatti (Figure 95 e 96). Figure 95, 96 86 L’ANOVA-test ed il Tukey’s post-test hanno permesso, invece, di valutare la significatività delle differenze riscontrate nel numero assoluto di soggetti appartenenti, anno per anno, agli stadi IRIS II, III e IV. La distribuzione dei pazienti canini è risultata poco significativa con p = 0,0447 e non è emersa alcuna differenza di rilievo statistico nel confronto della numerosità delle singole classi considerate due a due (Figura 97 e Tabella 11). Al contrario, la popolazione felina ha fornito risultati analitici più decisi con p < 0,0001 ed il Tukey’s post-test ha evidenziato significative differenze nel confronto di IRIS II vs IRIS III e di IRIS II vs IRIS IV (Figura 98 e Tabella 12). Figura 97 Figura 98 87 Tabella 11 Tukey’s Multiple Comparison Test Dogs Mean Diff, q Significant? P < 0,05?Summary 95% CI of diff IRIS 2 vs IRIS 3 – 8,100 1,183 No ns -32,13 to 15,93 IRIS 2 vs IRIS 4 15,00 2,190 No ns -9,033 to 39,03 IRIS 3 vs IRIS 4 23,10 3,373 No ns -0,9332 to 47,13 Tabella 12 Tukey’s Multiple Comparison Test Cats Mean Diff, q Significant? P < 0,05? Summary 95% CI of diff IRIS 2 vs IRIS 3 29,70 7,818 Yes *** 16,37 to 43,03 IRIS 2 vs IRIS 4 29,60 7,792 Yes *** 16,27 to 42,93 IRIS 3 vs IRIS 4 – 0,1000 0,02632 No ns -13,43 to 13,23 88 6.5 Ecografia addominale Dei 325 cani e dei 205 gatti affetti da CKD afferenti alla Clinica Veterinaria dell’Università di Pisa dal 2008 al 2010, il 41,23% ed il 38, 54%, rispettivamente, sono stati sottoposti ad ecografia addominale presso il reparto di Diagnostica per Immagini dello stesso Dipartimento. Le stime di prevalenza annuale, invece, sono specificate nella Tabella 13 e nella Figura 99 per i cani, nella Tabella 14 e nella Figura 100 per i gatti. Tabella 13 Tot cani IRC Ecoaddome* Prevalenza ecoaddome* (%) 2008 86 24 27,91 2009 91 33 36,26 2010 148 77 52,03 * N° soggetti sottoposti a ecoaddome presso il Dipartimento di Clinica Veterinaria dell’Università di Pisa. Tabella 14 Tot gatti IRC Ecoaddome* Prevalenza ecoaddome* (%) 2008 60 13 21,67 2009 56 20 35,71 2010 89 46 51,69 *N° soggetti sottoposti a ecoaddome presso il Dipartimento di Clinica Veterinaria dell’Università di Pisa. Figure 99, 100 Di seguito riportiamo i valori di prevalenza delle sette categorie corrispondenti alle principali lesioni renali che, durante il triennio, sono state rilevate all’esame ecografico dei cani (Figure 101-103) e dei gatti (Figure 104-106) con insufficienza renale cronica. 89 Figure 101-103 Figure 104-106 90 L’applicazione dell’ANOVA-test e del Tukey’s post test ci ha permesso, infine, di condurre un’analisi statistica sulla significatività delle differenze osservate nella distribuzione dei pazienti canini e felini all’interno delle suddette categorie. Al contrario dei cani (Figura 107), nei quali tale significatività non è stata verificata, i gatti (Figura 108) hanno fatto registrare un valore di p = 0,0016 e differenze di rilievo statistico emerse dal confronto tra la numerosità della serie “Nefropatia cronica” e quella degli altri sei raggruppamenti. Figura 107 Figura 108 91 7. Discussione dei risultati 7.1 Cani La prevalenza dell’insufficienza renale canina, misurata dalla nostra indagine retrospettiva, si attesta su un valore medio di 6,6%, con un intervallo compreso tra 2,78% e 9,68% riscontrati proprio all’inizio e alla fine del decennio (Tabella 1 e Figura 41). Tali stime si mostrano mediamente in accordo con quelle riportate in letteratura(38) rispetto alle quali, però, esse appaiono spostate verso gli estremi superiori dei range indicati, se non addirittura al di sopra di essi. Questa tendenza, con l’eccezione del 2002 che ha fatto registrare una prevalenza dell’IRC pari a 8,56%, si evidenzia soprattutto nella seconda metà del periodo (soprattutto dal 2007 al 2010), a testimonianza della crescente diffusione della nefropatia, quale patologia dell’età geriatrica, tra popolazioni di animali d’affezione sempre più “vecchi” e, probabilmente, di un sempre maggior rilievo assunto dalla Clinica Veterinaria universitaria come centro di referenza provinciale e regionale per le malattie renali del cane e del gatto. Le misure di incidenza, scarsamente reperibili nella letteratura nefrologica veterinaria, riflettono la frequenza dinamica dell’evento “insufficienza renale cronica” all’interno della popolazione canina nel corso del decennio e, infatti, escluso il 7,45% rilevato nel 2002, confermano il graduale imporsi della CKD tra i cani visitati dal 2008 al 2010 (Tabella 1 e Figura 41). L’incidenza media annuale risulta pari al 6,2%, un valore poco distante da quello calcolato per la prevalenza. Inoltre, dal confronto intraspecifico sull’andamento della prevalenza/incidenza dell’IRC durante il periodo esaminato (Figura 41), si evince che le variazioni delle due stime epidemiologiche preocedono, ogni anno, di pari passo ad indicare che all’aumento di individui annualmente colpiti dalla patologia corrisponde un aumento di nuovi casi e, soprattutto, una maggiore persistenza, o meglio, sopravvivenza dei vecchi casi. Anche la nostra indagine locale va, così, a rafforzare la constatazione delle conquiste recentemente conseguite dalla Medicina Veterinaria e delle crescenti cure rivolte dai proprietari alla salute dei propri pets. 92 Per quanto riguarda la distribuzione dell’insufficienza renale cronica canina nei due sessi, i maschi risultano più colpiti delle femmine rispetto alle quali, fatta eccezione per gli anni 2001 e 2005 (rispettivamente, 82,35% e 63,11% dei cani maschi affetti da IRC), essi mostrano una prevalenza annuale poco più elevata (Tabella 3 e Figura 85) con un valore medio che si attesta sul 57,4% contro il 42,6% delle cagne. La discussione in merito alla prevalenza della razza nei cani con CKD pone delle restrizioni legate non solo alla grande frammentazione etnologica della specie ma anche alla diversa varietà di razze riscontrata di anno in anno (Figure 2, 6, 10, 14, 18, 22, 26, 30, 34, 38). Decidiamo, pertanto, di compiere un’analisi complessiva del decennio prendendo in considerazione le razze maggiormente rappresentate all’interno di esso: il meticcio (27,7% dei soggetti malati), il boxer (10,5% dei cani con insufficienza renale cronica), il pastore tedesco (7,2% dei pazienti canini affetti da CKD) ed il setter (4,4% dei casi di IRC canina). Teniamo a precisare che, per acquisire vera significatività, tali stime dovrebbero essere riformulate sulla base di un serio confronto con i dati ufficiali sulla prevalenza delle diverse razze canine nel territorio di afferenza alla Clinica Veterinaria. In mancanza di questa possibilità, interpretiamo i risulati ottenuti segnalandone la concordanza con precedenti studi retrospettivi sull’insufficienza renale cronica del cane (47)(48) nei quali si evidenzia il marcato interessamento dei soggetti di taglia medio-grande, senza vere e proprie predisposizioni di razza. Sottolineiamo, tuttavia, che l’estrema eterogeneità del gruppo dei meticci ne impedisce una prescisa classificazione segnaletica della mole corporea. La nostra indagine ha fatto registrare risultati interessanti circa la distribuzione dell’IRC canina in base all’età con il 25,2% dei cani di età inferiore ai 6 anni, il 41,1% di età compresa tra 6 e 10 anni e con il 33,6% di 10 anni e oltre. Tali percentuali, riferite ai valori medi del decennio, si discostano dalle stime riportate in letteratura(38) a confronto delle quali esse rivelano una maggiore prevalenza della malattia nella fascia intermedia (6 < anni < 10), anziché in quella più alta (≥ 10 anni). Questa tendenza è verificata anche dall’osservazione più dettagliata delle prevalenze annuali (Tabella 5 e Figura 87) che, tuttavia, a fronte di valori pressoché costanti per il gruppo < 6 anni, mettono in luce, soprattutto nella seconda metà del periodo, una graduale diminuzione dei cani tra i 6 e i 10 anni e, in parallelo, una crescente proporzione dei pazienti geriatrici ≥ 10 anni. Questi ultimi raggiungono la prevalenza massima (51,71%) nel 2010, allineandosi, così 93 con la tendenza indicata dalle fonti bibliografiche e tornando a ribadire il progressivo invecchiamento della popolazione canina interessata da insufficienza renale cronica. Al fine di creare basi conoscitive utili alla prevenzione primaria, secodaria e terziaria dell CKD degli animali d’affezione, i risultati più significativi sono stati forniti dalle misure di frequenza relative alle classi IRIS nei pazienti canini esaminati. La prevalenza media registrata dal 2001 al 2010 è stata del 32,6% per lo stadio II, del 43,1% per lo stadio III e del 24,3% per lo stadio IV. Anche in questo caso, informazioni più interessanti possono essere ricavate analizzando l’evoluzione annuale delle stime epidemiologiche che, nella prima metà del decennio, mostrano una netta imposizione della classe IRIS II contemporaneamente ad un timido incremento di IRIS III (ad esclusione dell’anno 2005), mentre la seconda metà del periodo, inizialmente, vede quasi omogenizzarsi i tre stadi che, poi, vengono a divergere con l’affermarsi di IRIS II su IRIS III e, soprattutto, su IRIS IV, in drastica riduzione dal 2008 al 2010. Il trend descritto, particolarmente evidente dall’andamento della prevalenza (Tabella 7 e Figura 89), trova conferma dall’esame dei valori di incidenza (Tabella 9 e Figura 91) di gran lunga più esplicativi nel segnalare il miglioramento dello stato di salute dei cani colpiti da insufficienza renale cronica, il cui livello di gravità può essere stabilizzato o addirittura diminuito, e, senz’altro, la “precocizzazione” dell’individuazione della malattia, sia per un ricorso più tempestivo al medico veterinario da parte dei proprietari, sia per le accresciute capacità e abilità diagnostiche dell’odierna Medicina Veterinaria. I risultati ottenuti circa la distribuzione dell’IRC canina nei tre stadi IRIS sono stati convalidati dalle analisi statistiche effettuate (chi-quadro test, ANOVA-test e Tukey’s post test) le quali hanno fatto emergere significative differenze nella prevalenza (Figura 93), nell’incidenza (Figura 95) e, se pur in minor misura, nel numero assoluto (Figura 97) di cani appartenenti ad ogni stadio nel corso dei 10 anni, senza, tuttavia, attestare la tendenza di una classe ad imporsi sulle altre (Tabella 11). 7.2 Gatti La prevalenza media dell’insufficienza renale felina stimata nel corso del presente studio è stata del 23,3%, con un intervallo compreso tra il 14,04% del 2003 ed il 29,29% del 2009 (Tabella 2 e Figura 82). Tali valori si attestano complessivamente al di sopra dei range citati dalle fonti bibliografiche(38) mostrando solo lievi oscillazioni (ad 94 eccezione degli anni 2001 e 2003 che fanno registrare le percentuali più basse) e la tendenza ad un leggero incremento nella seconda metà del decennio. Anche le stime di incidenza descrivono un andamento analogo, con un valore medio pari al 22,3% attorno al quale si ditribuiscono i tassi annuali, scostandosi poco da esso (salvo il 14,04% riscontrato per il 2003). Le misure di frequenza, statiche e dinamiche, determinate dalla nostra indagine, confermano il ruolo di primo piano da sempre assunto dall’IRC nel panorama delle ailuropatie(4) (42) (44), ma anche l’aumentata diffusione della stessa nefropatia, tipica dell’età senile, in ragione delle crescenti aspettative di vita della popolazione felina. Inoltre, l’affermarsi della prevalenza e dell’incidenza della CKD nel gatto su valori superiori a quelli riportati in letteratura potrebbe essere attribuito alla natura spiccatamente referenziale della Clinica Veterinaria universitaria presso la quale è stata realizzata la ricerca epidemiologica. A differenza di quanto emerge da precedenti studi in materia(45) (47), la distribuzione dell’insufficienza renale felina nei due sessi, da noi riscontrata, rivela la netta imposizione dei maschi (prevalenza media del 56,1%) sulle femmine (prevalenza media del 43,9%) ad esclusione dell’anno 2004, dove si registra un’inversione di tendenza e dell’anno 2005, nel quale i gatti e le gatte si spartiscono equamente (50% e 50%) il totale dei pazienti felini affetti da CKD (Tabella 4 e Figura 86). Per ciò che concerne la ripartizione dell’IRC felina in base alla razza, la prevalenza media si attesta sul 78,4% per l’europeo, sul 13,6% per il persiano e sul 3,7% per il siamese. Durante il decennio, la malattia è stata diagnosticata in esemplari appartenenti anche ad altre razze (Figure 43, 47, 51, 55, 59, 63, 67, 71, 75 e 79) le quali, tuttavia, non hanno raggiunto proporzioni tali da essere segnalate nel presente resoconto. L’eccezionale prevalenza attribuita all’europeo, con ogni probabilità, è da associarsi alla sua grande rappresentanza nella popolazione felina afferente alla struttura universitaria, piuttosto che ad una sua specifica suscettibilità verso la CKD. In accordo con precedenti indagini retrospettive(47) sottolineiamo, invece, il dato di tutto rilievo riguardante la frequenza della nefropatia nel gatto persiano, nel quale spesso essa si instaura secondariamente a PKD (Polycystic Kidney Disease), e la percentuale, comunque degna di nota, relativa al siamese in merito al quale il nostro lavoro si allinea con i risultati degli studi statunitensi(38). Al contrario, tali riscontri smentiscono altri studi 95 epidemiologici sull’insufficienza renale felina(45) dai quali non emergono particolari predisposizioni di razza. La suddivisione dei gatti con IRC secondo l’età ha riportato valori di prevalenza media pari al 18% per i soggetti < 6 anni, al 25,2% per i pazienti tra i 6 e i 10 anni e al 56,1% per gli individui ≥ 10 anni. Tali stime risultano concordi con quelle citate dalle fonti bibliografiche (39) (40) (42) (45), mostrando l’indiscussa affermazione della fascia di età geriatrica sulle due restanti. La stessa considerazione può essere fatta analizzando l’andamento delle prevalenze annuali (Tabella 6 e Figura 88) nel quale, a fronte delle percentuali persistentemente elevate dei gatti ≥ 10 anni, si distinguono due periodi. Nel primo (2001-2006), il gruppo < 6 anni va incontro ad un graduale aumento parallelamente alla lieve diminuzione riscontrata per la frazione 6 < anni < 10 anni, mentre la prevalenza dei soggetti anziani si mantiene quasi costante. Nel secondo periodo (2007-2010), invece, sia la fascia d’età più bassa che quella più alta appaiono puttosto altalenanti con variazioni inversamente proporzionali l’una rispetto all’altra, mentre la frequenza del gruppo intermedio risulta pressoché stabile. I dati epidemiologici, a nostro avviso, più interessanti sono forniti dalla distribuzione dei gradi di insufficienza renale cronica nella popolazione felina esaminata. I valori medi di prevalenza in essa calcolati sono stati del 57% per la classe IRIS II, del 27,3% per la classe IRIS III e del 21,6% per IRIS IV, evidenziando, quindi, tra i gatti, la predominanza di un basso livello di gravità e di progressione della malattia. Questa tendenza è verificata anche dall’osservazione dettagliata delle frequenze annuali (Tabella 8 e Grafico 90) a proposito delle quali, tuttavia, torniamo a individuare, due distinti periodi. Il primo, di nuovo corrispondente agli anni 2001-2006, vede le prevalenze dei tre stadi IRIS mantenersi su valori più o meno stabili, con lievi oscillazioni attorno alle medie indicate; nel secondo lasso temporale (2007-2010) si evincono differenze più evidenti con la proporzione dei gatti in IRIS II inizialmente inferiore alle percentuali degli anni precedenti e, poi, in progressivo aumento su IRIS III e su IRIS IV. L’andamento delle stime di incidenza annuale (Tabella 10 e Grafico 92) mostra le medesime caratteristiche, se non, addirittura, più accentuate. Sebbene il rene del gatto sia dotato di notevoli capacità di compensazione in grado di mantenere a lungo sotto controllo l’insufficienza renale, i risultati ottenuti, soprattutto nell’ultima parte del decennio, rivelano, anche per questa specie, un miglioramento dello stato di malattia 96 dovuto all’orientamento dei veterinari verso un corretto e tempestivo iter diagnostico, nonché ad una maggiore sensibilità ed educazione dei proprietari nei confronti della CKD (48). Le misure di frequenza ricavate dalla nostra indagine, in merito alla distribuzione dell’IRC felina nei tre stadi IRIS, sono state convalidate dalle analisi statistiche effettuate (chi-quadro test, ANOVA-test e Tukey’s post test) le quali hanno fatto emergere significative differenze nella prevalenza (Figura 94), nell’incidenza (Figura 96) e nel numero assoluto (Figura 98) di gatti appartenenti ad ogni stadio nel corso dei 10 anni. Il confronto tra la numerosità delle singole coppie classi ha, infine evidenziato, la significatività della distanza di IRIS II da IRIS III e da IRIS IV (Tabella 12), ribadendo l’affermarsi di una diagnosi precoce dell’insufficienza renale cronica felina. 7.3 Ecografia addominale Nonostante la percentuale di cani e di gatti affetti da CKD complessivamente sottoposti ad ecoaddome presso il reparto di Diagnostica per Immagini della Clinica Veterinaria dal 2008 al 2010 equivalga, rispettivamente, al 41,23% e al 38,54%, le stime delle stesse prevalenze annuali offrono risultati più incoragganti. Il sensibile aumento degli esami ecografici rilevato nel corso del triennio sia per i cani (Tabella 13 e Figura 99) che per i gatti (Tabella 14 e Figura 100) malati, in primo luogo, sostiene la tesi di una maggiore attenzione riposta dai medici veterinari nell’attuare procedure diagnostiche dell’insufficienza renale puntuali e complete le quali non possono esimersi dal ricorso all’ecografia addominale. In secondo luogo, questo trend positivo denota la crescente importanza e affidabilità acquisita alla struttura universitaria che sembra essere preferita dai liberi professionisti, per consulenze ed approfondimenti diagnostici, e dai proprietari per una coerente gestione a 360° degli animali. La ripartizione dei casi di IRC canina e felina in sette categorie, corrispondenti alle principali lesioni renali riscontrate ecograficamente dal 2008 al 2010, mette in evidenza aspetti epidemiologici interessanti che solo la Diagnostica per Immagini consente di apprezzare e che sono legati a predisposizioni specifiche verso determinate patologie del rene, congenite o acquisite. A fronte di una netta imposizione della categoria “Nefropatia cronica” riscontrata in entrambe le specie (anche se molto più marcata nel gatto), i cani fanno registrare valori di prevalenza notevoli per la displasia renale e per 97 l’idronefrosi/pielectasia (Figure 101-103), mentre i gatti risultano più colpiti da PKD e da neoplasie renali, soprattutto da forme linfomatose (Figure 104-106). L’elevata frequenza delle categorie che raccolgono i casi con lievi (nei gatti) o nulle (nei cani) alterazioni renali sottolinea l’assenza di strette e precise correlazioni tra la funzionalità renale e le modificazioni ecografiche osservate (46) a dimostrazione che soggetti con accertata CKD possono presentare quadri ecografici renali normali. Le analisi statistiche (ANOVA-test e Tukey’s post-test) hanno confermato la significatività delle differenze riscontrate nella distribuzione dei pazienti felini nelle sette categorie ecografiche, evidenziando la particolare prevalenza della serie “Nefropatia cronica” sulle altre (Figura 108). Risultati altrettanto fondanti, invece, non sono stati ottenuti per i cani, in merito ai quali i test non hanno fatto emergere alcuna differenza statisticamente significativa (Figura 107). 98 8. Conclusioni L’insufficienza renale cronica, in crescita esponeneziale a livello mondiale sia nella popolazione umana che negli animali d’affezione, rappresenta una comune causa di malattia e di morte del cane e del gatto, nonché una delle patologie più ricorrenti nel gatto anziano.(38)(43) (44) Con il presente studio si è confermata la maggiore frequenza dell’IRC felina rispetto a quella canina (in rapporto superiore a 3:1), in accordo con quanto riferito in letteratura(6) (8) (38) riportando, tuttavia, stime di prevalenza e di incidenza più alte in entrambe le specie e tendenti ad aumentare nel corso degli anni. La proporzione dei maschi e delle femmine affetti dalla malattia è sbilanciata a favore dei primi, con differenze tra i due sessi di gran lunga più marcate nei gatti anziché nei cani. Considerato che la prevalenza della razza negli animali con insufficienza renale cronica meriterebbe di essere interpretata alla luce dei dati ufficiali sulla diffusione territoriale delle razze canine e feline, i più colpiti tra i gatti risultano il Persiano ed il Siamese, tra i cani il Boxer, il Pastore Tedesco ed il Setter, rispettivamente dopo l’Europeo ed il meticcio ai quali, però, non si riconoscono precisi connotati etnologici. Si segnala, in particolare, l’interessamento dei cani di taglia medio-grande, così come descritto da precedenti studi in materia(48). Se nei gatti la CKD si configura come un’entità morbosa tipica dell’età senile (≥ 10 anni), nei cani la più alta prevalenza della patologia si registra per i soggetti tra i 6 e i 10 anni, sebbene, anche in questa specie, nel corso degli anni, venga a palesarsi un invecchiamento della popolazione malata. I valori medi di prevalenza e di incidenza media dell’IRC nelle classi IRIS II, III e IV denotano, indubbiamente, l’esistenza di un maggiore livello di gravità e di progressione della nefropatia nel cane rispetto al gatto. Tuttavia, l’andamento annuale di queste stime e le analisi statistiche, su di esse condotte, indicano, soprattutto tra i pazienti canini, il graduale imporsi dello stadio IRIS II su IRIS III e, principalmente, su IRIS IV. La nostra indagine evidenzia, così, non solo per l’uomo ma anche per gli animali d’affezione, l’affermarsi di una diagnosi precoce dell’insufficienza renale cronica grazie 99 al migliorato approccio diagnostico alla malattia da parte dei veterinari e alla crescente sensibilità e attenzione rivolta dai proprietari alla salute dei cani e dei gatti domestici. Le stesse conclusioni sono rafforzate dal riscontro dell’aumentato impiego dell’ecografia addominale quale fondamentale tecnica strumentale per la diagnosi tempestiva della CKD nei piccoli animali. 100 Appendice Cani con insufficienza renale cronica anno 2001 N° RAZZA SESSO ETA’ (anni) Creatinina plasmatica (mg/dl) Urea plasmatica