Gli Interventi Assistititi con gli Animali
nei contesti di marginalità sociale
La maggior parte delle persone al sentire il termine “Pet Therapy” si figura un cucciolone buffo di labrador che tiene compagnia ai bambini in degenza ospedaliera, il gattino mansueto che vive in RSA e che si fa accudire e coccolare dagli anziani… In realtà lo scopo di questo elaborato, infatti, è di andare oltre alla visione comune e stereotipata della Pet Therapy, presentando alcuni contesti di cura a cui non siamo abituati a pensare come quelli per le marginalità sociali, tossicodipendenti e carcerati e di come si pone la legge italiana nei confronti di questi.
Nel marzo 2015, venne emesso l'Accordo sul documento “Linee guida nazionali per gli interventi assistiti con gli animali (IAA)”, mentre nel luglio 2016, il Ministero della Salute pubblica il Piano Nazionale sugli Interventi Assistiti con gli Animali ribadendo l'importanza di promuovere e potenziare i vari interventi e collaborazioni nella Pet Therapy.
Quindi possiamo dedurre che il valore terapeutico dell’animale d’affezione in svariati contesti di cura, non solo è stato ampiamente riconosciuto a livello personale, ma è stato anche confermato attraverso studi specifici di settore che ne hanno permesso poi l’applicazione e la tutela da un punto di vista legislativo.
Infatti diversi istituti penitenziari hanno integrato nei loro programmi rieducativi interventi assistiti con animali, che spesso hanno coinvolto non solo i detenuti ma anche le famiglie ed il personale di sorveglianza.
In Toscana, a Livorno, si svolge con successo attività di questo genere in alcuni istituti di pena, centrandole su tematiche di sostegno e integrazione dei soggetti più emarginati, progetti con soggetti tendenti all'autolesionismo e detenuti tossicodipendenti, progetti di educazione cinofila di base e sostegno alla genitorialità con la mediazione del cane.
Proprio come diceva il famoso scrittore ed umorista inglese E.V Lucas
“Un cane può trovare, perfino nel più inutile di noi, qualcosa in cui credere…”
Breve storia dell’ impiego degli animali nei contesti di cura
I primi tentativi di utilizzo degli animali da parte dell’uomo per lavoro, nella caccia e per controllare armenti e greggi risalgono alle epoche preistoriche, periodi dove l’uomo cercava di domesticare le bestie utili più mansuete e facilmente controllabili.
Successivamente, gli animali domestici si slegarono dalla loro funzione puramente utilitaria per essere impiegati in rituali di guarigione o in occasioni ludiche, sacre e religiose, come testimoniano innumerevoli storie e leggende.
Tutti conoscono Anubis, divinità egizia dalla testa di sciacallo che accompagnava e pesava le anime dei morti per giudicarle, e tra i suoi animali sacri viene raffigurato tra gli altri anche il cane, che sorvegliava i cimiteri e che faceva le sue veci tra i mortali. Analogamente, gli Zoroastriani ritenevano che esistesse un legame tra i cani e la morte, per questo l’anima dei defunti s’incarnava nel corpo dei canidi.
Nella nostra tradizione troviamo un esempio nell’iconografia cristiana, dove San Rocco, protettore dal terribile flagello della peste, viene spesso raffigurato con un cane vicino. Le antiche agiografie infatti narrano che il cane Reste, durante la degenza di Rocco appestato, provvide quotidianamente a portargli del cibo sottratto alla mensa del suo padrone e signore del luogo. Il nobile, che vedeva ogni giorno il suo cane prendere una pagnotta dalla tavola e scappar via, incuriosito, lo seguì scoprendo così il rifugio di Rocco al quale, malato e sofferente, il cane portava il pane. Il nobiluomo prese Rocco con sé e lo curò, facendo così in modo che il Santo potesse proseguire il suo cammino.
Uscendo dai miti, il primo tentativo terapeutico per curare dei disabili grazie agli animali pare risalga al diciannovesimo secolo a Gheel, in Belgio, ma i primi dati scientifici realmente accertati circa il coinvolgimento degli animali a scopo terapeutico a lungo termine risalgono però al 1792, in Inghilterra presso il York Retreat Hospital, dove il noto psicologo infantile William Tuke incitava i piccoli pazienti ad interagire e a prendersi cura di animali di piccola taglia come conigli e galline. Tuke partiva dalla premessa che le persone con disturbi cognitivi potevano riacquisire il possesso delle loro ordinarie facoltà se stimolati verso attività alternative che permettessero di recuperare quell’autocontrollo che era stato perso, attraverso le tecniche di giardinaggio e di cura degli animali, fonte di stabilità e d’equilibrio nello scambio affettivo.
Analogamente, a metà del 1800, in Germania, presso il Bethel Hospital, gli animali furono coinvolti come parte integrante nel trattamento di recupero per malati epilettici e disabili, istituendo la prima fattoria interna ad un istituto di cura.
Successivamente alla prima guerra mondiale, la terapia con gli animali cominciò ad assumere una certa importanza nel miglioramento del comportamento dei pazienti. Nel 1919, sia negli Stati Uniti Gli Interventi Assistiti con Animali nei contesti di marginalità sociale d'America che in Francia, pazienti fisicamente provati e mentalmente turbati che riportavano disagi gravi, come forme di depressione e schizofrenia, in seguito al primo conflitto mondiale, venivano esortati a giocare con i cani mentre erano affiancati da normali terapie per ritrovare un clima sereno e di sano affetto.
Analogamente, dopo la Seconda Guerra Mondiale, la Croce Rossa Americana presso, il Army Air Corps Convalescent Hospital di New York, realizza il primo tentativo di recupero di militari gravemente feriti e con gravi turbe emotive incoraggiando i pazienti a lavorare con maiali, cavalli, pollame e bestiame in generale, ma coinvolgendo ogni tanto anche rane, serpenti e tartarughe.
Ma nonostante gli esempi riportati finora e molti altri che possiamo trovare nella storia, convenzionalmente, la nascita dello studio degli effetti benefici degli animali d’affezione come terapia complementare a quelle farmacologiche e psicologiche risale al 1953, quando il dottor Boris Levinson, neuropsichiatra infantile e proprietario del cane Jingles, in un periodo di crisi profonda sulla sua professione e sull’utilità di ogni procedura terapeutica rilevò fortuitamente l’azione positiva che aveva il suo cane su un bambino con comportamenti autistici che aveva in cura. Levinson notò che quando lo riceveva nel suo studio, questo bambino si dirigeva spontaneamente verso il suo cane, distraendosi e rilassandosi, favorendo così la naturalezza dell’interazione e l’instaurazione dell’alleanza terapeutica. Levinson ne dedusse che l’animale fosse un mediatore utile a ristabilire i contatti sociali e lo coinvolse in maniera sistematica nella relazione psicoterapeutica con i suoi piccoli pazienti ottenendo risultati soddisfacenti. Questa esperienza segnò l'avvio di approfondite ricerche e studi sugli effetti degli animali da compagnia in campo psichiatrico attraverso le molteplici attività che potevano essere effettuate con essi.
Nel 1961, il dottor Levinson, pubblicò il suo famoso libro “The Dog as Co-Therapist”, in cui enunciava le sue prime teorie e dove appare per la prima volta il termine Pet Therapy, mentre nel 1975, i coniugi Corson, entrambi psichiatri americani, che avallavano le teorie e gli studi di Levinson, elaborarono la Pet Facilitated Therapy per curare adulti con disturbi mentali.
Nello stesso anno, iniziarono anche i primi programmi di Pet Therapy nei manicomi criminali e nelle carceri, mentre parallelamente Mugford e M’Comisky attraverso l’utilizzo della Pet Therapy con gli anziani riconoscevano che l’animale aveva un effetto catalitico sul paziente che gli permetteva di instaurare una relazione dapprima uomo-animale ed in seguito anche con altre persone nell’ambiente.
Uscendo dall’ambito della salute mentale, nel 1977, Erika Friedmann, studiando persone con problemi cardiaci, scoprì una correlazione positiva tra la sopravvivenza di una persona che aveva avuto un attacco di cuore ed il possesso di un animale.
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Chi soffriva ad esempio d’ipertensione e aveva avuto infarti, ma possedeva un animale da compagnia, sopravviveva di più di chi a pari condizioni non lo aveva: la studiosa rilevò come la vicinanza dell'animale favorisse il rilassamento del soggetto diminuendo la possibilità di infarto cardiaco.
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L’esigenza di studiare in maniera rigorosa gli effetti dell’interazione uomo-animale portò alla nascita nel 1981 della Delta Society, un’associazione americana che per prima gettò le basi per definire le caratteristiche generali degli Interventi Assistiti con gli Animali, a cui poi hanno fatto riferimento le altre realtà.
In Italia si iniziò a parlare di questo argomento nel 1987, durante un Convegno Interdisciplinare tenuto dalla Società Culturale Italiana Veterinari per Animali da Compagnia (SCIVAC) con titolo “II ruolo degli animali da compagnia nella società odierna” sul rapporto uomo-animali cui parteciparono esperti del rapporto uomo-cane. Da qui in poi, furono diverse le realtà che iniziarono ad effettuare le prime esperienze pionieristiche in materia di Attività e Terapie con gli animali, anche se da un punto di vista legislativo bisogna attendere il testo unificato della commissione affari esteri del 2001 affinché vengano poste le basi per una attività rigorosamente scientifica che preveda requisiti di professionalità in tutte le figure coinvolte e specifiche caratteristiche per le strutture che ospiteranno queste attività. Inoltre, pone le fondamenta per un adeguata salvaguardia degli animali: vengono per
la prima volta vietati gli animali selvatici, esotici e cuccioli.
Nel 2002, venne pubblicata la “Carta Modena: Carta dei valori e dei principi sulla pet relationship”: questo tavolo di lavoro vide la partecipazione dei massimi esponenti, esperti ed Enti in materia di relazione uomo-animale e dei diritti da salvaguardare di entrambe le parti e sancisce i principi e i valori dell’approccio relazionale, ossia dell’utilizzo della relazione uomo-animale a scopo
beneficiale.
Spetta poi alle regioni definire delle leggi adeguate. Nell’ambito delle competenze regionali si stabilirà se queste attività potranno rientrare nei Livelli Essenziali d’Assistenza (ed essere quindi pagate dalla struttura pubblica) o se saranno svolte sotto forma di singoli progetti appaltati a cooperative o strutture private.
Ad esempio, nel 2005 la Giunta Regionale del Veneto ha approvato Progetto pilota per l’attivazione del Centro di studio e ricerca in materia di pet therapy, proposto in partnership dall’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Venezie dall’Azienda ULSS 16 di Padova e dal Centro Polifunzionale Don Calabria di Verona (DGR n°962/2005). Qualche anno dopo è stato istituito con il decreto del ministero del Lavoro, della salute e delle politiche sociali del 18 giugno 2009 presso l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe) il Centro di referenza nazionale per gli interventi assistiti con gli animali (CRN IAA).
Tra le direttive più significative a cui ha partecipato il CRN IAA possiamo citare quelle del 2007 dall'International Association of Human-Animal Interaction Organizations (IAHAIO), che ha elaborato e approvato delle Linee guida scaturite dall'undicesima Conferenza mondiale sulle interazioni uomo-animale di Tokyo.
Più recentemente, il 25 marzo 2015, venne emesso l'Accordo, ai sensi degli articoli 2, comma 1, lettera b) e 4, comma 1 del decreto legislativo 28/08/1997, n. 281 tra il Governo, le Regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano sul documento recante “Linee guida nazionali per gli interventi assistiti con gli animali (IAA)”, mentre il 22 luglio 2016, il Ministero della Salute pubblica
il Piano Nazionale Integrato 2015-2018 sugli Interventi Assistiti con gli Animali ribadendo l'importanza di promuovere e potenziare i vari interventi e collaborazioni nella Pet Therapy.
Concludendo, possiamo dedurre che, dal 1961 ad oggi, il valore terapeutico dell’animale d’affezione in svariati contesti di cura, non solo è stato ampiamente riconosciuto a livello personale, ma è stato anche confermato attraverso studi specifici di settore che ne hanno permesso poi l’applicazione e la tutela da un punto di vista legislativo.
L’omogeneità procedurale infatti permette il monitoraggio, la valutazione e lo studio continuo delle tecniche di Pet Therapy, nonostante la diversità dei settori socioassistenziali dove trovano applicazione gli IAA: tutto questo serve a garantire nel tempo agli operatori del settore ed agli animali coinvolti la possibilità di offrire agli utenti sempre la miglior esperienza possibile senza mettere a rischio l’incolumità di nessuno dei soggetti implicati.
L’epoché animale nella carcerazione e nella tossicodipendenza
Il carcere, nella sua accezione moderna, e in Italia soprattutto a partire dalla legge di Riforma Penitenziaria 354/1975, ha tra i suoi obiettivi riconosciuti non solo la punizione, ma la rieducazione, il recupero e la promozione del reinserimento sociale: in questa ottica, la presenza di animali può divenire strumento e mezzo di trattamento, in grado di umanizzare la pena in un ambiente spesso ostile, attraverso la possibilità di relazioni gratificanti e affettivamente consistenti, e di fare emergere o riemergere nei detenuti risorse e sentimenti spesso sotterrati per far fronte all’ambiente penitenziario.
In ambito carcerario uno dei primi tentativi di inserimento di animali nelle strutture è stato effettuato attraverso la circolare 137163741-1 del 13 dicembre 1996 emanata dal Ministero Grazia e Giustizia, Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria ed indirizzata ai Direttori degli Istituti di prevenzione e di pena italiana. Questa circolare dichiarava che è stata da più parti segnalata
l’opportunità di consentire ai detenuti e agli internati – nell’ambito del generale principio di umanizzazione della pena, per effetti benefici che può produrre sotto il profilo psicologico e trattamentale in genere e in considerazione dell’accresciuta sensibilità verso il mondo degli animali – di tenere con sé piccoli animali di compagnia. […]
Questa circolare del 1996 sebbene non riguardi la strutturazione di progetti educativi, fonda le sue direttive sull’assunto di base degli IAA, ovvero che gli animali domestici possono in diverse misure mitigare condizioni di disagio. Nel 2006, ovvero 10 anni dopo dalla promulgazione della circolare, è stato effettuato uno studio con il patrocinio della Consulta di Bioetica ONLUS in collaborazione con l’Ufficio Diritti Animali della Provincia di Milano a cura della Dottoressa Manzoni sulla presenza di animali negli istituti carcerari della provincia di Milano. Le specifiche richieste rivolte ai direttori dei singoli istituti hanno permesso di verificare che solo il carcere di San Vittore ha visto la presenza al proprio interno di molti piccoli animali, che però, una volta usciti con il detenuto di riferimento, non sono stati rimpiazzati. Lo studio ha preso in esame 10 detenuti di ambo i sessi che all’epoca erano affidatari di animali (alcuni canarini, un criceto, pesci in due acquari, otto gatti, un furetto), e sebbene l’estremamente esigua quantità di dati a disposizione abbia inficiato la possibilità di un lavoro articolato, ciò che si può affermare in base agli elementi emersi dai colloqui con i detenuti è che, quando sussiste una vera relazione affettiva con il proprio animale, la sua presenza ha valenze fortemente positive, in quanto è antidoto alla solitudine, accresce l’autostima, smuove il senso di responsabilità, favorisce la capacità di osservazione e l'espressione di sentimenti mobilitando l’affettività, influisce sulla modulazione delle emozioni, permette un rispecchiamento reciproco, crea un ponte con la realtà esterna e mobilita meccanismi di identificazione. Gli Interventi Assistiti con Animali nei contesti di marginalità sociale
Successivamente alla promulgazione dell'Accordo tra Stato e Regioni sulle linee guida nazionali per gli IAA del 2008, diversi istituti penitenziari hanno integrato nei loro programmi rieducativi interventi assistiti con animali, che spesso hanno coinvolto non solo i detenuti ma anche le famiglie ed il personale di sorveglianza.
Ad esempio, in Toscana, l'Associazione Do Re Miao! di Livorno dal 2012 svolge con successo attività di questo genere in alcuni istituti di pena della regione, centrandole su diverse tematiche: sostegno e integrazione dei soggetti più emarginati, progetti con soggetti tendenti all'autolesionismo e detenuti tossicodipendenti, progetti di educazione cinofila di base e sostegno alla genitorialità con la mediazione del cane. L’esperimento condotto da loro nella casa circondariale Don Bosco di far entrare in contatto i reclusi con i propri animali domestici, ha fatto modo che nel 2016 questa esperienza venisse istituzionalizzata in modo permanente, grazie anche alle osservazioni del personale socio-psico-educativo che ha confermato come la relazione con il proprio animale ha permesso l’emersione di aspetti della personalità dei detenuti altrimenti difficilmente evocabili in questo contesto ed ha favorito l’instaurarsi di un clima positivo e capace di facilitare i processi di recupero e integrazione dei soggetti coinvolti, affinandone le capacità sociali e relazionali.
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Un altro progetto sperimentale di nota è stato quella effettuato nel 2016 nel carcere di San Vittore, sviluppato per aiutare il recupero delle detenute psichiatriche. In questo particolare frangente, la condizione di reclusione era vissuta ancora più gravemente dalle pazienti affette da diagnosi di psicosi, di disturbo della personalità borderline e di depressione.
L’iniziativa nella sezione femminile ha coinvolto 8 donne con diagnosi psichiatrica attiva, e prevedeva un piano semestrale che permetteva di far entrare in carcere una volta a settimana il cane Charlie e il coniglietto Spike per far apprendere alle detenute un modello di comunicazione emozionale sviluppandolo a livello non verbale. Gli specialisti coinvolti, accostandosi ad un modello di accudimento e cura e sfruttando la capacità innata degli animali di entrare spontaneamente in una relazione non giudicante, canalizzavano il comportamento dell’animale per far imparare alle pazienti a prevedere le conseguenze delle loro azioni. È stato notato dagli operatori che la presenza di un animale facilitava la comunicazione con le detenute permettendo loro di lavorare sulle problematiche maggiormente critiche date dalla loro patologia portando alla fine del programma ad un miglioramento nel mettere in prospettiva gli effetti dei comportamenti esplicitati ed un'accresciuta gestione delle emozioni insieme ad un lieve incremento dell'autostima.
Rientra invece nelle attività assistite con animali il progetto, unico in Italia, lanciato in Toscana dal Provveditorato dell’Amministrazione Penitenziaria e realizzato grazie a un protocollo con l’Ente nazionale cinofilia italiana e Telefono Azzurro: da Febbraio del 2018 viene consentito ai figli dei reclusi delle carceri di Sollicciano a Firenze, di San Gimignano, Siena, Massa, Massa Marittima e Livorno di visitare i propri genitori con la presenza di un cane. Complessivamente, sono coinvolti dodici cani debitamente formati, che accolgono i bambini all’ingresso per accompagnarli per tutta la durata della visita. Il progetto è nato con l’intento di rendere la visita ai genitori reclusi dentro il penitenziario meno traumatica ed invasiva per i piccoli, contribuendo a creare un’atmosfera più serena durante il ricongiungimento familiare in un ambiente di per sé poco amichevole.
Inoltre, i progetti di IAA inoltre hanno iniziato a coinvolgere le strutture penitenziarie non solo destinatarie di progetti, ma anche come parte attiva: nella Provincia di Milano, di Brescia e di Voghera sono state previste le creazione ad hoc di strutture destinate all’accoglienza di cani all’interno delle carceri, dove alcuni detenuti selezionati, si occupano degli animali coadiuvandone il loro
ricondizionamento positivo, finalizzato al reinserimento in famiglia o l’addestramento per servizi di rilievo sociale, quale l’assistenza ai disabili o attività di protezione civile. In alcune di queste strutture sono stati attivati parallelamente dei progetti che prevedono dei corsi per conseguire la qualifica di educatore cinofilo e di addestratore, contribuendo anche a creare un ponte con la realtà territoriale esterna, ponendosi come obiettivo quello di trasmettere ai detenuti le competenze sulla corretta gestione degli animali, cercando di ampliare la possibilità di un veloce reinserimento nella società esterna una volta scontata la pena.
Anche nel contesto della tossicodipendenza, che spesso è legato a doppio filo con la reclusione, sono state svolte sperimentazioni volte a valutare l’efficacia degli IAA: il risultato visibile e documentato riporta miglioramenti nella comunicazione con lo staff medico, del tono dell’umore, dell’alleanza terapeutica, ed un’emergente curiosità nel sostegno terapeutico alternativo che contribuisce ad aumentare la motivazione al cambiamento.
Nel caso dei pazienti tossicodipendenti, è sul terreno del comportamento non verbale che si muove la Pet Therapy. L’interazione con l’animale, attraverso il contatto ed il calore, riesce a far sentire la persona amata, importante, al centro dell’attenzione; questo scambio reciproco di sensazioni diventa un elemento di sicurezza, stimolando stati d’animo positivi e aprendo un canale di comunicazione verso l’esterno in modo semplice e autentico, basato sulla corporeità, sulla spontaneità, sul gioco.
L’obiettivo è quello di far riacquistare all’utente fiducia nella propria capacità di manifestare in modo funzionale le emozioni, comunicare sentimenti, instaurare rapporti. La modificazione comportamentale dell’animale si riflette sulla modificazione comportamentale del paziente che, responsabilizzandosi ed aumentando il proprio controllo sull’animale, aumenta l’autostima e riceve quindi un rinforzo positivo con conseguente miglioramento del suo quadro psicologico.
Nella tossicodipendenza spesso siamo di fronte a persone che hanno perso loro stesse nelle sostanze: la stima e l’amore verso sé stessi solitamente sono scarsi se non inesistenti. La sensazione di fiducia assoluta che viene recepita dagli animali spesso riesce a far scattare l’interruttore interno che consente a queste persone di darsi un ulteriore tentativo di cambiamento. L’accettazione incondizionata della persona così com’è nel qui ed ora da parte dell’animale è la peculiarità che rende gli IAA efficaci in questo ambito così come nei contesti di reclusione.
Tutto ciò testimonia quanto sia riconosciuta la valenza terapeutica insita nel rapporto uomo/animale, e quanto questa costituisca una risorsa importantissima nei contesti di marginalità: nella società moderna gli animali sono parte integrante dell’habitat umano e in grado di stabilire con gli umani relazioni ricchissime, se è riconosciuta la loro alterità. Gli animali, inoltre, mostrano all’uomo che si possono esprimere i propri istinti e utilizzare le proprie capacità naturali in modo sano, piacevole per sé e per gli altri, trovando equilibrio e sicurezza anche in ambienti ostili. L’atteggiamento salvifico stimolato dal prendersi cura di altro diverso da sé, che sia il coniglio dell’operatore, il cane di famiglia, od il gatto che gironzola in struttura, diventa per chi è recluso fisicamente o mentalmente, un’occasione di riscatto e di conoscenza, uno stimolo all’empatia, un’esperienza relazionale fondamentale ed un collegamento con la realtà esterna che spesso viene altrimenti distorta o dimenticata.
Conclusioni
Il Ministero della Salute, nel 2006, ha emanato un documento che testimonia l’ormai assodata efficacia della Pet Therapy. Il termine, come questo elaborato cerca di illustrare al lettore, indica una serie complessa di utilizzi del rapporto uomo-animale in campo educativo, medico e psicologico, nonché un’attenta pianificazione e collaborazione tra le diverse figure professionali coinvolte. Come dimostrato da numerosi studi scientifici effettuati su soggetti nelle diverse età evolutive ed in differenti contesti di cura, rieducazione e riabilitazione il contatto con un animale, quando correttamente canalizzato, può aiutare nel soddisfacimento di alcuni bisogni che altrimenti non possono venir soddisfatti e può favorire il recupero, mantenimento e sviluppo delle capacità residue.
L’appagamento di tali bisogni, necessario per il mantenimento di un buon equilibrio psico-fisico, è spesso il principale obiettivo degli IAA, offrendo così all’utenza una possibilità per migliorare la propria qualità della vita in quel contesto. La Pet Therapy, affiancata ed integrata alle terapie mediche tradizionali, può inoltre contribuire al miglioramento globale dello stato di salute di chi si trova in particolari condizioni di disagio apportando interventi mirati al raggiungimento da parte del malato di funzioni fisiche, sociali, emotive e cognitive, soprattutto nella forma delle Terapie Assistite dagli Animali.
Vi è però da tenere in considerazione che tutti i benefici supportati dalle più recenti evidenze scientifiche, sono applicabili esclusivamente su chi ama gli animali ed apprezza la loro compagnia.
Un animale non può in alcun modo migliorare la vita di una persona che non ha nessuna intenzione di stabilire alcun tipo di contatto con esso, che sia fisico o emotivo.
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Queste ultime considerazioni sono in linea con i risultati di una recente ricerca della Dr.ssa Camilla Pagani riguardante la violenza dei bambini sugli animali: l’esistenza del fenomeno dei maltrattamenti sugli animali dimostra che non è sufficiente la presenza asettica di un animale perché si possa dare il via ad un rapporto empatico in egual modo utile all’umano e all’animale; è necessario che si stabilisca una relazione affettiva, anche di lieve entità, affinché tale rapporto dia origine ad un processo di crescita e di arricchimento. Per altro questa considerazione è ovviamente applicabile ad ogni relazione, anche a quelle intraspecifiche: anche tra gli esseri umani non è sufficiente avere rapporti di prossimità perché si possa parlare di indiscussi benefici reciproci: è la natura della relazione, non la sua esistenza, che dona valore ai rapporti e che produce mutamenti nelle persone.
Risulta chiaro da ciò che gli effetti benefici sulla salute e sul benessere psicofisico in generale non sono prodotti solamente dagli animali addestrati e preparati per svolgere appositamente specifiche attività di Pet Therapy. Certamente questi ultimi rimangono più idonei nel coadiuvare le cure mediche in determinate e specifiche condizioni di disagio e malattia, ma l’accogliere in famiglia un animale
Gli Interventi Assistiti con Animali nei contesti di marginalità sociale domestico con cui solitamente si crea un legame stabile e duraturo, porta solitamente a miglioramenti relativi alla sfera fisica, relazionale, cognitiva, motoria, grazie alla nutrita serie di dinamiche che la sua presenza mette in gioco.
Dunque se è vero che la grande maggioranza delle persone risente positivamente del rapporto con il suo animale, che si integra nell’articolazione delle relazioni familiari e sociali, tanto più importante tale presenza risulterà per le persone detenute o per gli individui il cui tessuto sociale risulta lacerato, che si trovano in una situazione di durezza esistenziale, di solitudine rispetto alle relazioni affettive significative. In conclusione, credo che il punto focale sia la presa di coscienza sul ruolo che gli animali rivestono nella vita quotidiana, ruolo che viene attribuito grazie al crearsi di legami affettivi ed utilitaristici profondi. Ogni Intervento dovrebbe partire dalla comprensione della complessità della relazione instaurata, seppur momentanea, ed essere strutturato di conseguenza per poterla sfruttare al meglio come potente strumento di realizzazione della personalità, in grado di arginare la demotivazione radicale che con tanta facilità si instaura nella malattia così come nei penitenziari, e di rimettere in contatto gli individui con le proprie emozioni in contesti che, per loro stessa natura, tendono ad impedire o sopprimere la libera espressione di bisogni e desideri.
Sara Garuglieri, Operatrice Pet Therapy
Si ringrazia per la stesura di questo elaborato
Slinky, senza la quale non avrei mai intrapreso
questo percorso, a cui dedico queste parole:
“Il mio cane come cane è un disastro,
ma come persona è insostituibile”
(J. Rau)