Giocare con il proprio cane
la complessità nascosta dietro l’apparente semplicità di ogni singolo gesto
Si è svolto domenica dieci Febbraio presso la sede del Centro Cinofilo Dobredog di Capannoli, l’incontro dedicato all’interpretazione più profonda di un’attività che fin dalle prime settimane di vita del cucciolo rappresenta le fondamenta di ciò che diventerà il nostro amico a quattro zampe: il gioco.
L’abitudine a tenere aperti solo i nostri occhi senza capire fino in fondo ciò che “sentono” i nostri cani, ci indirizza spesso verso errori tipicamente umani.
Esempio evidente l’ha dato fin da subito Francesco Fabbri, Presidente Onorario, Formatore e fondatore dell'accademia Dobredog, che ha tenuto le redini della giornata sviscerandone i contenuti. Nella sua vasta formazione ha avuto modo di studiare il pensiero e conoscere personalmente Marc Bekoff autore del saggio Animal Play: evolutionary, comparative and ecological perspectives
Obiettivo iniziale nella prima parte prettamente teorica, è stato dimostrare ai presenti come spesso si parta già da preconcetti o da pensieri fuorvianti, fosse solo per delle semplici definizioni.
Chiedendo ai presenti di spiegare il significato della parola “gioco”, Francesco Fabbri ha mostrato a tutti come sia facile incappare nelle insidie di qualcosa che solo apparentemente sembra semplice.
Capita sempre troppo spesso che si dia una finalità ai momenti di gioco fra noi ed i nostri cani; e capita sempre più di frequente che il tempo dedicato a quello che riteniamo “gioco” sia quantitativamente e qualitativamente più legato ai nostri bisogni che non a quelli reali del nostro compagno di viaggio.
Quando si parla di gioco, specie nei cuccioli, in cui l’esplorazione e la conoscenza possono essere lasciate a briglia sciolta per garantire quella diversità di situazioni che lo arricchiranno nella vita da adulto, orologio e finalità specifiche vanno chiuse in un cassetto, per permettere alla relazione la spontaneità che rende il momento di gioco sempre nuovo, sempre diverso e sempre “appetibile”.
Le aspettative, l’anticipazione, ma soprattutto la motivazione, danno al nostro giocare quel “quid” qualitativo che rende il divertimento di quei distinti momenti un serio ed imprescindibile bagaglio per ogni nostro cane; ma giocare vuol dire anche avere delle regole, che siano chiare e ben definite seppur spesso assai diverse fra loro.
Tale diversità è stata evidenziata nella seconda parte della giornata, in cui Fabbri ha proposto una parte prettamente pratica, rendendo protagonisti Scott, Ray, Skye, Ubaldo e Viola coi rispettivi “amici umani”.
L’osservazione dei momenti di gioco ha permesso d’evidenziare come le regole d’ingaggio del gioco stesso siano legate indissolubilmente al rapporto instaurato fra cane e proprietario.
Non necessariamente, quindi, c’è una linea specifica da seguire che possa ritenersi valida per tutti, tralasciando quelle che sono le normali regole di vita sociale.
D’altronde, la diversità di ogni individuo è poi alla base della bellezza stessa, ancor più quando tale diversità s’intreccia in un rapporto sempre unico come quello “uomo-cane”.
La giornata è terminata un pochino oltre l’orario previsto in virtù anche di un “question time” che ha coinvolto i presenti, via via più interessati dalla vastità di un argomento dalle mille sfaccettature.
Per concludere, possiamo affermare con certezza che giocare con il proprio cane ha un sapore particolare solo se permettiamo al nostro rapporto di presentarsi in questi momenti specifici, senza ostacoli, senza secondi fini e senza limitazioni, con la totale complicità, serietà e spontaneità che il gioco stesso merita.
Autore: Andrea Colantuono