Comunicare con i bambini autistici e neurodiversità. Cento passi per una parola.

Comunicazione, Autismo e Pet Therapy

Saper ben parlare non è saper ben comunicare

breve riflessione sulla inefficienza dei comunicatori efficienti

 

 

La parola “comunicare” deriva etimologicamente dal termine latino “communicare” che , a sua volta, è composta da due radici : “cum” che significa “con” e “munus” che significa “impegno, compito” ma anche “dono, regalo”.

La comunicazione, dunque,  prevede la presenza di almeno un altro essere vivente (“cum”) con il quale entrare in relazione e condividere “qualcosa”.

Essa però, per divenire vero scambio, richiede impegno e sopratutto generosità (“munus”).

Quando comunichiamo autenticamente, infatti, facciamo sempre dono di noi stessi in termini di tempo, disponibilità, condivisione di saperi, aiuto, collaborazione o ascolto.

La comunicazione non è prerogativa della specie umana; anche gli animali possono comunicare seppure non possano parlare.

Quando pensiamo alla  comunicazione, tuttavia, generalmente ci riferiamo ad uno scambio di “parole” fra esseri umani.

Il linguaggio verbale, infatti, rappresenta la più alta competenza comunicativa ed è innegabile come  ,grazie alle sue caratteristiche, esso rappresenti  lo strumento più efficace ed economico per trasmettere pensieri, sensazioni ,emozioni e per condividere esperienze anche molto lontane nel tempo e nello spazio.

Comunicare attraverso il linguaggio verbale, dunque, rappresenta la massima acquisizione del genere umano.

Nonostante l’efficacia e l’efficienza di questo strumento, tuttavia, la comunicazione  fra persone si avvale anche di molti altri canali che si alternano o si accompagnano ad esso (mimici, gestuali, artistici, corporei ecc.); le parole, dunque, risultano sempre intrecciate con segnali non verbali, spesso involontari ed inconsapevoli, che possono sottolineare, rinforzare, modificare, smentire o addirittura contraddire il messaggio verbale.

L’impatto complessivo di un messaggio, infatti, è dato da:

  • 7% verbale (solo parole)
  • 38 % vocale (timbro vocale, modulazione della voce)
  • 55% non verbale

Il linguaggio extraverbale, quindi, contribuisce per il 60-80% all’impatto dell’incontro.

 

È evidente allora come il solo parlare , anche se utilizzato a scopo non relazionale come quando trasmettiamo  informazioni o diamo istruzioni, risulti difficilmente sganciato da quello non verbale

Se, per fare un esempio,  entriamo in un ufficio e ci rivolgiamo ad un impiegato che deve fornirci un documento o spedire un pacco o effettuare un pagamento , ci è chiaro sin dall’inizio che la persona che abbiamo di fronte sia per noi un perfetto sconosciuto,  semplicemente chiamato ad offrirci un servizio. Eppure, al di là del suo “saper fare”, noi ricaveremo delle impressioni anche sul suo modo di porsi e di rivolgersi a noi, sulla gentilezza  e disponibilità mostrate , sulla espressione mimica , lo sguardo ecc.

Uscendo dall’ufficio, quindi, avremo ricavato un’impressione che prescinde la competenza professionale della persona e va a “pescare” nella profondità delle relazioni umane.

Il linguaggio del corpo, dunque,  risulta utilizzato, spesso in modo inconsapevole, per negoziare all’interno dei rapporti interpersonali ed è il riflesso dello stato emozionale di un soggetto e del suo grado di apertura nella relazione.

Tornando al concetto di comunicazione essa risulta, per tutti gli esseri viventi e non solo per quelli umani,  qualcosa di necessario alla vita stessa; condizione per avere coscienza di sé stessi e strumento per creare e mantenere un equilibrio tra bisogni individuali e coesistenza.

Questo rende più facilmente comprensibile l’affermazione secondo la quale il concetto di comunicazione  non sia qualcosa di esclusivamente legato alla competenza linguistica che rappresenta solo un aspetto, seppure fondamentale , della più generale competenza comunicativa.

Tale affermazione diventa ancor più vera e pregnante nella relazione con persone o bambini aventi una  “neurodiversità” ( come ad esempio l’autismo )  che possa essere causa di disabilità verbale.

Ne sono un esempio, fra gli altri, l’autismo, il ritardo mentale o le disabilità motorie che compromettano anche il versante linguistico.

In questo caso, la nostra attenzione nei confronti dello stile comunicativo ,in senso generale e linguistico in particolare , dovrà risultare ancora più sottile e competente.

 

 La gravità di un handicap ,infatti, non è data dall’handicap in sé ma dalle condizioni in cui è vissuto ed accolto.

 

L’ambiente infatti riveste un ruolo fondamentale nel favorire o, viceversa, ostacolare lo svilupparsi di qualunque forma di vita. Entrare in comunicazione con l’altro significa, quindi , diventare “ambiente” che ne stimola e ne rinforza le capacità espressive.

Di fronte ad una persona o ad un bambino con una difficoltà nel comprendere o nell’utilizzare il linguaggio verbale è necessario attingere ,per stabilire un contatto autentico e produttivo, alle nostre più  radicate competenze comunicative.

 

Ma cosa significa possedere un buona competenza comunicativa?

 

Significa sapersi esprimere correttamente in una lingua, utilizzando frasi sintatticamente complesse e parole “difficili”? Oppure possedere una buona capacità di persuasione? O saper dare ordini e farsi obbedire?

Niente di tutto questo:  una buona competenza comunicativa richiede il possedere adeguate capacità espressive (non esclusivamente linguistiche), comportamenti socialmente adeguati , adeguata capacità di stabilire e mantenere relazioni costruttive e ,soprattutto , buona capacità di accoglienza delle iniziative comunicative dell’altro (non necessariamente mediate dal linguaggio verbale) e di adattamento del proprio approccio interpersonale  all’interlocutore, alle sue caratteristiche e  alle competenze da lui possedute in tale ambito.

Nella comunicazione allora risulta fondamentale, soprattutto in situazioni nelle quali l’altro possa avere specifiche difficoltà in tal senso , costruire un significato condiviso dato dal CONTESTO  che preveda, a sua volta:

  • quando si comunica
  • chi comunica con chi
  • come si comunica
  • dove si comunica

Troppo spesso, a seguito di un “naufragio comunicativo”, siamo propensi nel dare la responsabilità all’anello più debole, ad assolverci pensando che se le cose non sono andate a buon fine la colpa risieda altrove perché noi, parlatori esperti e neurotipici, “siamo sempre dalla parte del giusto”.

In realtà, il più delle volte, gli incompetenti comunicativi siamo noi, arroccati nella torre della nostra presupposta quanto illusoria abilità.

Per  fare un esempio chiarificatore:  molti bambini o persone con disturbi della comunicazione linguistica  hanno difficoltà nella comprensione di frasi figurate come  “tagliare la corda”, “avere un diavolo per capello”, “acqua in bocca” .

Questi soggetti mostrano la tendenza a decodificare queste espressioni in modo letterale ; se ci rivolgiamo loro utilizzando queste espressioni, dunque , potranno restare interdetti perché non ne comprendono il significato sottostante.

 

 

Altro esempio può essere quello di utilizzare frasi ambigue o incomplete, anche queste spesso non comprese , come nel caso del chiedere “è passato il sette?” dove l’oggetto a cui la frase fa riferimento ,in questo caso il pullman, è omesso perché viene dato per scontato che l’interlocutore riesca implicitamente a capire che ci riferiamo ad esso, oppure chiedere di “cancellare la lavagna”  invece di dire “cancella la scritta che sta sulla lavagna”.

Negli esempi sopra riportati chi ha creato l’ostacolo comunicativo? Chi ha prodotto una comunicazione ambigua, complessa ed inadatta all’altro?

Conoscere l’altro, le sue difficoltà, i punti di forza, le inclinazioni, le modalità con cui esprime bisogni/emozioni/desideri e le sue strategie di decodifica dei segnali (linguistici e non) dell’ambiente ci mette al riparo, soprattutto in una relazione di aiuto , da insuccessi comunicativi che potrebbero pregiudicare in modo irreversibile la possibilità di “creare e mantenere scambio”.

Mettersi in ascolto profondo , essere disposti ad entrare in registri comunicativi meno usuali e scontati, fare cento passi verso chi non può farne più di uno, rappresentano i soli modi dunque per entrare a pieno titolo nel mondo della vera comunicazione .

Di queste ed altre riflessioni, parlerò al seminario del 25 Novembre 2018 che terrò nell’aula didattica del Centro Cinofilo DobreDog – Capannoli – Via Berlinguer

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Barbara Cerri

 

Riferimenti sulla comunicazione con il bambino autistico :

 

Il cervello Autistico – Temple Grandin

 

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